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Lo Zibaldone

Un uomo, un artista: riscoprire Roberto Bracco

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di Bernardina Moriconi

Un’interessante puntata del programma di Paolo Mieli Italiani su RAI Storia è stata recentemente dedicata a due grandi personaggi della scena italiana del secolo scorso: il drammaturgo napoletano Roberto Bracco e l’attrice di prosa, che molto con lui lavorò, Emma Gramatica: la puntata in questione ha fornito indubbiamente un prezioso contributo alla conoscenza di Bracco (1861-1943), sempre e soprattutto privilegiando l’aspetto di coerente e intransigente intellettuale antifascista. E non è poco. Ci sembra però che si finisca in questo modo per trascurare o sottovalutare la portata della sua produzione artistica, soffermandosi tutt’al più sul confronto tra Bracco e Pirandello, mediante la riproposizione di giudizi antitetici di chi parteggiava per Pirandello (come il critico Adriano Tilgher) e di chi si faceva sostenitore di Bracco (come lo scrittore Lucio D’Ambra). Un confronto ormai superfluo e che semmai poteva avere una ragione d’essere nel dibattito culturale dell’epoca. Sulla forza dirompente e innovativa del teatro di Pirandello, infatti, credo che nessuno possa eccepire qualcosa. Ma è il paragone fra i due che ormai non regge, e non ci aiuta a capire se e in cosa anche l’autore napoletano abbia contribuito allo svecchiamento della scena italica. E non regge più per vari motivi. Il primo dei quali è da ricercare nel loro differente intento iniziale, direi addirittura nel progetto di vita. Pirandello fin da giovanissimo scrive e vuole scrivere per passione e per mestiere, si cimenta nella poesia con esiti infelici ma è evidente che ha molto da dire e uno dei primi ad accorgersene è il buon Capuana che gli consiglia di cambiare genere e affilare gli artigli. Compie studi regolari che lo avviano a una carriera accademica. Soggiorna per un periodo di tempo a Bonn e (caso raro per i nostri intellettuali del tempo, eccezion fatta per Svevo, ma per ragioni logistiche) si apre a una cultura mitteleuropea e a forme nuove di teatro. Conosce poeti come Nikolaus Lenau e poi Heine Chamisso, che contribuiranno allo sviluppo della concezione umoristica dell’agrigentino. Insomma, un’altra storia che si accompagna a un’altra tempra d’autore. Per Bracco invece, tutt’altra vicenda. È una sorta di outsider, abbandona presto gli studi, si impiega in una ditta di spedizioni e approda per caso sia alla scrittura giornalistica sia a quella teatrale. Dove muove i primi passi con atti unici brillanti esemplati sui modelli francesi di gran moda (anche Scarpetta rifaceva quel teatro a modo suo). Però ben presto Bracco compie non una, ma una serie di svolte. Fa respirare un po’di aria norvegese ai nostri palcoscenici come nel nord del Paese ha tentato di fare Giuseppe Giacosa: senza arrivare agli inarrivabili vertici ibseniani ma rimescolando e quindi rimodernando un po’ le idee. Soprattutto quelle sulle donne. Anticipa di una buona quindicina di anni quello che sarà il teatro del silenzio di Jean-Jacques Bernard mettendo in scena il dramma del subconscio. Intuisce la carica innovativa del cinematografo e invece di opporvisi da teatrante, lo asseconda e si fa promotore del nuovo genere. Per il film muto Sperduti nel buio del 1914 tratto dal suo omonimo dramma, Bracco è considerato dagli esperti un antesignano del cinema neorealista. Nel ’15, mentre l’Italia entra in guerra tra fanfare e retorica interventista, lo scrittore si schiera sul versante antimilitarista licenziando un testo, L’Internazionale (portata audacemente in scena nel 2014 dal regista e drammaturgo Giovanni Meola) nel quale denuncia l’inutile sacrificio di tante giovani vite umane. Ecco, forse sarebbe necessaria un’attenzione maggiore a questi aspetti che concorrono a ridisegnare la figura di Roberto Bracco: che già prima della ferma presa di posizione antifascista non fu solo un brillante commediografo e un raffinato e galante esponente della bella époque partenopea , ma anche uno scrittore dalle idee ben precise e con il gusto di sperimentare nuovi generi. Pertanto, acclarati il coraggio e la coerenza della scelta politica (e nel programma non si è fatto cenno all’incendio delle sue carte a opera degli squadristi che portò alla distruzione di un nuovo dramma, La Verità, successivo ai Pazzi e che Bracco non riuscì più a recuperare), acclarato tutto questo, dunque, è giunto il momento di rivolgerci un po’ di più alla sua produzione, che oltre alle opere teatrali comprende raccolte di novelle che alcuni considerano la sua cosa migliore: insomma si dovrebbe valutare adesso quanto attuale e artisticamente valida sia la sua cospicua produzione letteraria, se e in che modo rappresentabili suoi testi teatrali, magari con opportune riletture o rivisitazioni (ma non si rivisita forse in continuazione il teatro di Shakespeare…?) Fermarsi solo sull’aspetto politico, per quanto esemplare possa risultare ancora oggi, vuol dire perpetrare nel tempo quella condanna al silenzio, che tanto pesò per l’intero ventennio fascista sulla vicenda artistica e umana di Roberto Bracco.

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