Lo Zibaldone
Tracy Farr, Dopo La Poggia
Con un passato da scienziata, l’australiana Tracy Farr è ora un’autrice di romanzi e racconti. Il suo romanzo d’esordio, The Life and Loves of Lena Gaunt (Fremantle Press, 2014), è stato inserito nella lista preliminare per il Miles Franklin Literary Award del 2014, e incluso nella rosa dei candidati per i WA Premier’s Book Award e Barbara Jefferis Award del 2014. Per la prima volta tradotta in Italia, l’autrice presenta il suo ultimo romanzo Dopo la pioggia (The Hope Fault), una delicata storia famigliare che narra della complessità e della fragilità dei rapporti umani.
«Cosa ti ha spinta a scrivere il romanzo Dopo la pioggia?».
Ho voluto scrivere qualcosa di diverso rispetto ai precedenti romanzi. Il mio primo romanzo è stato scritto dalla prospettiva di un personaggio unico e solitario, quindi ho voluto che in Dopo la pioggia, a parlare, ci fosse un intero cast di personaggi tutti strettamente collegati. Nel primo romanzo, la storia si allungava per gran parte del ventesimo secolo e un po’ ovunque nel mondo, quindi in Dopo la pioggia ho voluto tenere tutti i personaggi insieme in un unico posto concentrandomi su un periodo breve, pochi giorni o una settimana, per gran parte del romanzo. Ho voluto scivolare da una prospettiva all’altra, avere personaggi che parlano (e pensano) uno sopra l’altro, a volte in una specie di coro. Altre idee sono sopraggiunte durante la stesura, ma all’inizio c’erano soltanto alcune idee centrali. L’allontanarsi dalla città, un cielo nuvoloso carico di pioggia. Una famiglia alle prese con lo stare assieme; la celebrazione. Una casa con molte stanze, un ingresso dai muri storti. Una donna – Iris – al centro della famiglia, stabile, calma, un punto fermo e di connessione.
«Dopo la pioggia è un’opera abitata da molti personaggi, da Iris a Luce, da Kurt a Paul. Qual è stato il più difficile da caratterizzare? Ti sei ispirata a persone reali per delineare alcuni di loro?».
Iris è arrivata per prima. Negli anni, ho scritto tante versioni di Iris a diverse età, in differenti racconti e in un romanzo abbandonato. Non sono sicura da dove sia nata, ma so che non è autobiografica, e non è neanche qualcuno che io conosca. Essenzialmente, è una brava persona – la bontà è al contempo il suo superpotere e anche la sua grande colpa. Successivamente, tutti gli altri personaggi di Dopo la pioggia si sono sviluppati a partire dalla loro relazione con Iris: suo figlio, Kurt; l’ex marito, Paul; la migliore amica, Marti, che è pure l’ex cognata; e Rosa, la mamma di Iris. Ho iniziato a disegnare una rete di collegamenti e relazioni, a partire da Kristin, la seconda moglie di Paul, e la loro bambina. L’ultimo personaggio che ho aggiunto è stata Luce. Per descriverla in mezzo alla rete di relazioni di cui parlavo prima, Luce è la figlia adolescente di Marti, cugina di Kurt, nipote di Paul; ed è come una figlia per Iris. Luce era il pezzo mancante del puzzle, e una volta aggiunta lei, il posto degli altri nella rete è apparso più equilibrato. Non so quale personaggio sia stato più difficile da descrivere, ma Luce forse è stata la più facile, una volta scoperto che mi serviva. Non mi sono inspirata a persone che conosco, anche se mi rendo conto che qualche elemento in comune ci sia. L’adolescente Luce probabilmente ha qualche radice nella realtà – mi ricorda me stessa da ragazza. Quello che ho tratto dalla mia famiglia è la possibilità di rimanere connessi (o creare nuove connessioni) dopo la rottura di un matrimonio. Per esempio, i miei genitori hanno divorziato 40 anni fa. Ma sono rimasti (o lo sono diventati) buoni amici. Negli anni – proprio come Iris e Paul nel romanzo – hanno passato vacanze insieme, insieme ai rispettivi nuovi partner. È stata una parte essenziale della mia esperienza e della mia famiglia e ho voluto celebrare questo.
«Nel tuo romanzo si parla soprattutto di legami. Legami famigliari, legami intensi e naturali, e altri pazientemente costruiti negli anni nonostante le difficoltà. Proponi una storia in cui si racconta di una famiglia allargata, di relazioni che vanno al di là dell’appartenenza a una linea di sangue. Parli di tolleranza, di condivisione, di rispetto. La casa assume quindi in Dopo la pioggia un significato che va oltre l’essere il semplice focolare domestico. Vuoi parlarcene?».
Sono australiana, ma sono andata via quando avevo vent’anni. Non vivo lì da molto tempo ma visito spesso la mia famiglia. Nella scrittura, sembra che sia attratta ancora e ancora dal ritorno all’Australia – a casa, e a quello che essa rappresenta. Dopo la pioggia rappresenta il mio interesse in materia di casa: come la costruiamo, come la disfiamo; e come (da chi, dove, in cosa) la nozione di casa possa trasformarsi. L’idea di casa è legata a così tante cose: famiglia, identità, appartenenza, inizi (da dove veniamo, con cosa ci identifichiamo) e destinazioni (come raggiungere la casa), sicurezza e paradiso; panorama e luoghi. Mentre ho scritto Dopo la pioggia ho pensato a lungo all’idea di casa. Mia zia mi ha passato un libro (The Idea of Home) scritto dalla scrittrice e giornalista australiana che vive in USA, Geraldine Brooks. La scrittrice Paula Morris ritornata nella Nuova Zelanda dopo aver vissuto a lungo all’estero, ha scritto del ritorno a casa e del senso di appartenenza nel suo On Coming Home. Lo scrittore australiano Tim Winton, che ha vissuto a lungo in Australia dell’Ovest, da dove provengo anche io, ha pubblicato Island Home: A Landscape Memoir nel 2015. Dopo aver passato sei mesi in una residenza per scrittori, la scrittrice scozzese neozelandese Kristy Gunn ha scritto sul significato di casa e da dove nasce la narrativa, nel suo Thorndon: Wellington and Home: My Katherine Mansfield Project (2014). Sono tutti scrittori che ammiro molto e le cui opere sul concetto di casa mi hanno influenzato molto. La casa è, ovviamente, la rappresentazione fisica più familiare del concetto di casa, e, di recente, ho notato quanto la casa sia importante nei miei romanzi. In tutti e tre romanzi che ho scritto fin ora, posso rintracciare l’influenza che ho subito della scrittrice australiana Helen Garner. È nota per lo più per le sue opere di non fiction, ma le case – e le famiglie ivi contenute, collegate tra loro in virtù di legami di sangue o comunitari – sono così importanti nei suoi romanzi e nella sceneggiatura del film The Last Days of Chez Nous.
«Ci racconti di cosa parla il tuo romanzo d’esordio The Life and Loves of Lena Gaunt? Com’è cambiato il tuo approccio alla scrittura dalla tua prima prova letteraria a Dopo la pioggia?».
Il mio romanzo d’esordio, The Life and Loves of Lena Gaunt, racconta la storia di una donna musicista di 80 anni. Ha raggiunto la fama da giovane, nel 1920, come virtuosa del theremin (spesso descritto come il primo strumento musicale elettronico) e ha viaggiato per tutto il mondo prima di ritirarsi alla vita privata. Quando Lena Gaunt si lascia convincere ad abbandonare il ritiro e a tornare per una performance dopo vent’anni, attira l’attenzione di un regista di documentari. La vita passata di Lena la rende un soggetto da film molto intrigante, ma lei è riluttante a svelare i segreti che ha custodito a lungo. La descrivo come una storia sul talento, sulla modernità, sull’appartenenza, una vita disegnata in base agli amori e alle perdite. Lena è un personaggio di fantasia – è stata una vera gioia inventarla – ma c’è qualcosa di questa storia che fa credere ai lettori che si tratti di un personaggio reale (prendo la cosa come complimento). Nella sua essenza, non credo che il mio modo di scrivere sia cambiato molto dal primo romanzo. Il mio approccio però è cambiato. Sono più sicura della mia scrittura adesso di quanto non fossi stata all’inizio. Mi fido maggiormente del mio istinto, ho più pazienza con me stessa, e ho una grande voglia di provare cose nuove e strane.
«Nel romanzo Dopo la pioggia c’è un forte legame tra scienza e arte, a partire dalle citazioni al libro di Zigmund Silbermann, The Hope Fault (che poi è anche il titolo originale della tua opera), che tratta delle faglie geologiche. Prima di essere una scrittrice hai lavorato come scienziata. Quali sono i motivi che ti hanno spinta a fare questo cambio radicale di carriera?».
Zigi Silbermann è l’unico ispirato da un personaggio reale, sebbene non l’abbia mai conosciuto. Raphael (Rafi) Freund ha visitato la Nuova Zelanda brevemente nel 1960, in qualità di giovane geologo, per mappare una faglia geologica chiamata La faglia di Hope (The Hope Fault, come il titolo originale del romanzo). Nel 1971 ha pubblicato una relazione geologica, «The Hope Fault: A Strike Slip Fault in New Zealand»- possiedo una copia nella mia biblioteca. Ho lavorato per molti anni come scienziata. Ero una biologa e non sapevo niente di geologia. Ho preso la relazione che parlava della faglia neozelandese perché il titolo ha attirato la mia attenzione e perché amo le vecchie mappe. Non ho compreso niente della parte scientifica, ma sono stata colpita da quanto bello e strano fosse il linguaggio e dall’intersezione del linguaggio geologico e delle mappe con quello dei tessuti di cui stavo scrivendo. Quindi The Hope Fault ha trovato la sua via in Dopo la pioggia e ho creato il personaggio di Zigi Silbermann, geologo e poeta. Stavo scrivendo narrativa già da tempo anche mentre lavoravo come scienziata. Anche se oggi la scienza non è più la mia professione non è facile lasciarla fuori dai miei interessi. Quello che ho preso dalla scienza e ho inserito nella scrittura è il mio interesse a guardare ai dettagli e a trovare le connessioni, meglio se sorprendenti e strane. La ricerca scientifica e la scrittura sono simili alla costruzione di un puzzle e in entrambi i casi si racconta una storia (oppure si svela la verità riguardo una storia già esistente).
Dopo una carriera come scienziata, che richiede l’osservazione e la descrizione di fenomeni esistenti nel mondo reale, adoro le licenze della narrativa che mi permettono di creare cose. Con questo non voglio dire che la scienza non sia creativa; la scienza e gli scienziati sono infinitamente creativi. La narrativa ha però una capacità sconfinata d’invettiva; non ha confini, e adoro questo fatto.
«Quali sono le opere e gli scrittori che hanno influenzato il tuo percorso di autrice di narrativa?».
Sono moltissimi. La struttura tripartita di Dopo la pioggia s’ispira all’opera di Virgina Woolf, Gita al faro. Adoro il romanzo di Deborah Levy, Swimming Home, e l’impostazione di Dopo la pioggia le è debitrice: una famiglia e vecchi amici in una casa vacanze, in un periodo breve, una stori raccontata da molteplici punti di vista; poeti, parenti e partner; tempo interrotto. Le altre opere che hanno influenzato Dopo la pioggia sono How to be Both di Ali Smith, Legend of a Suicide di David Vann, Tender Buttons di Gertrude Stein, il fumetto Hickville di Dylan Horrocks, The Big Music di Kristy Gunn, Possession and Angels and Insects di A.S. Byatt. Mi interessano molto anche i film, e per ciascun libro che ho scritto fin ora, c’è un film che mi ha ispirata. Per Dopo la pioggia è stato un film del 2008, Rachel Getting Married, che parla di famiglie sfasciate e ricucite, di casa e di celebrazione. Per il mio primo romanzo, c’è stato il documentario Theremin: An Electronic Odyssey. Per il romanzo a cui sto lavorando ora, è Alice nel Paese delle Meraviglie del ’66.
«Di cosa tratterà il tuo prossimo progetto letterario?».
Ci sto ancora lavorando quindi non voglio rivelare troppo. È ambientato nel 1912, c’è una una famosa scienziata, molto malata, che sta scappando al dolore e allo scandalo, viaggiando dall’altro lato del mondo, in uno stato onirico, per raggiungere le cure (e l’abitazione) di un certo dottore. Li vivono dei bambini (tre gemelline di cinque anni) incuriosite dalla donna sopraggiunta per stare con loro, sofferente e in incognito. Il romanzo parla della riproduzione, della curiosità, della scienza, dell’identità, del dolore, dell’esibizione e della distruzione.
Titolo: Dopo la pioggia (The Hope Fault)
Autore: Tracy Farr
Genere: Romanzo famigliare
Casa Editrice: Parallelo45 Edizioni – Unorosso
Collana: Hoboken
Pagine: 346
Prezzo: 13,50 euro
Codice ISBN: 9788899246099
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