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Poesia

Tra parola e mondo

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di Matteo Bianchi

Quando nominiamo qualcosa o qualcuno gli conferiamo un tempo e uno spazio, gli affidiamo una presenza secondo il nostro punto di vista. Angelo Andreotti con la recente Tra parola e mondo (Manni, 2021, pp. 128, euro 14), torna a una parola che invera, perciò temuta e sottostimata di continuo, recuperandone la sacralità intrinseca. Tra assenze e rinvenimenti imprevisti di senso, il poeta ripristina un uso autentico della lingua di appartenenza, come chi trova la strada di casa non ricordando il nome delle vie: «scivolando sui forse dei ricordi. / Giusto il silenzio conserva memoria».

Già dal titolo che riporta un frammento di Kathleen Jamie, la raccolta di Andreotti non racconta, non crea mondi paralleli a quello attuale, bensì attualizza la funzione epidittica con cui fu concepita la poesia stessa nell’antichità classica, esponendo valori condivisi e richiamando il lettore a una netta posizione morale: «Così ti basta sollevare gli occhi, / lasciarti prendere, lasciarti perdere». In questa nuova prova in versi il rapporto tra l’io e la collettività si rivela il metro fondamentale con cui il poeta misura la sua esistenza in mezzo a quelle altrui, ma senza i deliri narcisistici a cui sono inclini svariate penne contemporanee.

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