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Stranieri a Napoli. Giuseppe Merlino parla di Fabrizia Ramondino
Proponiamo qui un’intervista a Giuseppe Merlino su Fabrizia Ramondino (1936-2008) la cui opera Il calore verrà “raccontata” da Merlino nel terzo appuntamento del ciclo di incontri a Napoli Strane Coppie, la rassegna culturale a cura di Antonella Cilento e del suo laboratorio di scrittura Lalineascritta, in un incontro dedicato a lei e al grande scrittore polacco Gustaw Herling (Requiem per il campanaro) il 21 aprile alle ore 18.00. Il tema dell’incontro è “stranieri a Napoli”.
Come si inseriscono le opere di Fabrizia Ramondino nel tema “stranieri a Napoli”?
In un certo senso, era lei stessa una straniera nella sua città. Con l’osservatore esterno la Ramondino condivideva lo stesso sguardo affascinato e inquieto su Napoli: quasi un’attenzione antropologica, diretta tanto al tessuto urbano quanto all’interiorità di chi lo popolava. Nei suoi romanzi e racconti, come quelli contenuti in Il Calore, Ramondino afferra l’anima popolare napoletana con partecipazione, ma anche con oggettività.
In che modo?
Creando personaggi minimi con tratti comuni. Il suo sguardo è spesso puntato verso gli ultimi, i negletti o semplicemente non integrati: quasi sempre ai margini della società, queste figure sono portatrici di profondità, tenerezza ed empatia inaspettate. Molti dei personaggi di Il Calore vivono nel centro antico di Napoli, uno dei tanti luoghi in cui la Ramondino ha vissuto e dai quali ha attinto parecchi elementi della sua produzione letteraria.
Si può parlare di Il Calore come di un libro autobiografico?
Lo assimilerei più al genere dell’ “autoritrattismo”: elementi di vita reale dell’autore messi a confronto con il corpus culturale in cui egli vive. Così le esperienze e le tradizioni soggettive diventano singole pennellate in un quadro più ampio, che raffigura il vero e proprio spirito di una comunità. Un grande esempio di letteratura internazionale, in questo senso, è Roland Barthes. Ma non è solo questo che caratterizza le opere di questa autrice.
Cos’altro?
Nella scrittura della Ramondino è sempre presente il senso del prossimo, dell’individuo che aveva vicino, sott’occhio: un’anima spesso afflitta, turbata ed abbandonata, descritta con puntiglio e ricchezza di sfumature. La definirei una “populista liberale”.
In che senso?
So che il termine “populista” non suona bene, specialmente oggi. Qui, però, lo intendo nella sua accezione migliore: un’attenzione viva, partecipativa e commossa ai problemi del popolo, tesa ad elevare certi strati sociali dal punto di vista etico e morale. Ramondino desiderava conoscere gli ultimi e, allo stesso tempo, educarli a valori eroici e principeschi: la magnanimità, la dedizione ed il coraggio. È una visione pedagogica laica, direi anche pre-politica, accuratamente conscia dei limiti e delle contraddizioni dell’essere umano e della società in cui vive. Penso che, proprio in quest’epoca, ci sia molto da imparare dai suoi libri.
E invece le sue opere sono relativamente poco conosciute, anche a Napoli. Come si spiega?
Credo sia un problema di stile: la Ramondino prediligeva l’intimità di storie e sentimenti minimi. Nei suoi racconti mancano elementi patetici, singolari o perversi: non ci sono le tinte forti ed il “clamore” ricercati dal lettore moderno. Eppure, proprio questa riflessività è molto efficace. Lo ripeto: oggi c’è un gran bisogno di rileggere opere come le sue.
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