Lo Zibaldone
Stradario di uno spaesato
Proviamo a partire da una definizione. Circoscrivere “Stradario” in un genere letterario non è facile: durante l’intervista, lo stesso Autore chiama la sua opera, in via preliminare, “romanzo non romanzo”, ma subito aggiunge che queste parole non sono sufficienti a definirne i confini.
Tuttavia qualche riflessione si rende necessaria.
Il libro è molte cose insieme, e sbaglia chi si aspetta uno scritto accademico o noioso. E’ un saggio di antropologia lontano dagli stereotipi, che scorre e si legge come un romanzo con una sua cronologia e nel quale si sente forte l’eco di grandi menti; è anche uno zibaldone ordinato, un’autobiografia in movimento e un testamento provvisorio.
A dare vita al pensiero di Minervino è il viaggio, col suo carico di strade, itinerari, destini, ritorni e miti. Non per niente affiorano riferimenti mai nascosti al suo alter ego George Gissing, il viaggiatore vittoriano che gli è tanto caro.
L’importante non è “il” viaggio ma il modo e la condizione con cui lo si compie, fino a scoprire che l’altrove può essere vicino a noi, e non solo fisicamente, pronto per essere colto, capito e infine interpretato.
A ciò si collega la rassegnazione per una sconfitta collettiva senza appello e il rammarico per aver assistito quasi impotente alla devastazione progressiva di luoghi e simboli, al frangersi dei sogni e alle promesse sfumate. Il reale non viene colto attraverso il filtro di uno schema prestabilito a priori o una griglia ideologica; vi ricorrono in tanti ma è un approccio che Minervino ha superato perché il suo è lo sguardo chirurgicamente preciso e contemporaneamente periferico, tipico di chi riesce a vedere oltre, solamente osservando e vivendo i luoghi che attraversa.
Qui nasce lo “straniamento” e il ricorso a nomi inventati di luoghi reali e riconoscibili. Tale ricorso, per certi aspetti non sembra del tutto estraneo ad un approccio -non sistematico- al gioco della mimesi, con le premesse che partono dal pensiero di Walter Benjamin e le cui conseguenze sarebbero da analizzare più in profondità.
Ma non leggiamo una analisi fredda e distaccata; parole come radici, sole, aria, luce, e soprattutto mare, assumono significato umano; specie “quel” mare, sterminato, invariabile ma vivo nella sua immobilità, il quale rappresenta il vero punto fermo del pendolo di Foucault che Minervino ha assunto per sé. La scelta della parola, il fraseggio quasi musicale, le pause e il non detto che si intuisce tra e righe e di cui si sente il profumo, diventano un contorno non inessenziale per creare un mondo. E viene la voglia di andare verso un “dove” astratto e inesistente, e di non tornare, e tuttavia questa voglia è repressa dall’indissolubile legame, spiegato con metafore straordinarie, per le quali da sole varrebbe la pena di leggere questo libro.
Mauro F. Minervino
Stradario di uno spaesato
Melville, 2017
pp.253, Euro 17,50
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