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Musica

Storia del ragtime

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di Annamaria Alagna

«Nelle melodie nere io scopro tutto ciò di cui c’è bisogno per una grande e nobile scuola di musica. Esse sono patetiche, tenere, malinconiche, solenni, appassionate, religiose, ardite, allegre, gaie o ciò che volete. È musica che si adatta ad ogni stato d’animo o ad ogni scopo. Non vi è nulla nell’ambito della composizione che non possa essere fornito dai temi di questa fonte. II musicista americano capisce questi temi, che fanno nascere in lui il sentimento. Essi colpiscono la sua immaginazione a causa della loro origine».

Così scriveva, sul New York Herald del 21 maggio 1893 il grande compositore boemo Antonin Dvorak che, se pure non fece a tempo a conoscere il jazz, ben comprese l’enorme potenzialità della musica nera. Durante gli anni del suo soggiorno americano, che durò dal 1892 al 1895, egli ebbe quasi sicuramente modo di ascoltare, oltre ai «minstrels» neri anche dei suonatori di ragtime.

A questa musica sincopata per pianoforte – in una qualche misura progenitrice del jazz – è dedicato l’ultimo ampio studio di Gildo De Stefano dal titolo «Il Ragtime» con il sottotitolo emblematico “Storia di quel ritmo sincopato antenato del jazz” (Logisma Editore, Firenze 2024, pagg. 268, €. 26,00), pubblicato recentemente dalla Logisma Editore di Firenze; uno studio cominciato ben quarant’anni fa e approdato in questa terza edizione ancor più densa di informazioni e analisi, che colma tuttora una lacuna importante non solo italiana ma anche europea. I più conoscono questo tipo di musica soltanto di riflesso: chi non ricorda la colonna sonora del film “La Stangata” (col celebre rag di Scott Joplin) oppure quel meraviglioso affresco cinematografico di Milos Forman, intitolato appunto «Ragtime» e tratto dal celebre libro di Doctorow?

L’opera di Gildo De Stefano compie un approfondito excursus nella storia di questo genere musicale, dall’origine verso la fine dell’800 fino alla fase più recente della sua evoluzione, fornendo spesso elementi di valutazione che possono consentire una «contestualizzazione» della musica in rapporto soprattutto all’evoluzione storica. Il ragtime non ebbe mai vita facile, specialmente nelle sue relazioni con la musica «seria». Nel 1918 la rivista di studi musicali «colti» Étude pubblicava infatti: «Il ragtime è una musica sincopata, pazza, e le sue vittime possono solo essere trattate alla stregua di un cane rabbioso, cioè con una dose di piombo. Se è semplicemente una fase di passaggio della nostra cultura artistica decadente o una malattia infettiva, come l’influenza o la lebbra, solo il tempo può mostrarlo“.

Non tutti ebbero dunque la lungimiranza e la sensibilità di Dvorak, che seppe ben comprendere ed anticipare come anche gran parte della musica colta americana avrebbe tratto linfa creativa proprio dal ragtime e dalla musica nera in generale. Sicuramente l’opera di musicisti come George Gershwin dovette molto alle influenze armoniche e ritmiche del blues e del jazz, e sarebbe interessante mettere a confronto opere come “Treemonisha” di Scott Joplin e “Porgy and Bess” di Gershwin per poter verificare in qualche misura l’una influenzi l’altra.

II ragtime è musica di intrattenimento (musica d’ambiente, si direbbe oggi) ma non per questo non opera in modo complesso e ricercato; e inoltre musica descrittiva di un’epoca, ed il suo status «economico» partecipa di quella evoluzione importante che la musica assumerà in relazione al consumo, sopratutto nel nostro secolo. II ragtime, infine, genera quel vero e proprio filone creativo che presto romperà gli «argini» della forma per ricomporsi nel più importante fenomeno musicale del nostro tempo: il jazz.

II libro di De Stefano, dunque, è importante proprio nella misura in cui ricostruisce il complesso tessuto dentro il quale si innesta l’espressione musicale specifica. Quindi uno strumento importante per chiunque voglia comprendere non solo una musica come il ragtime, ma più complessivamente un periodo storico determinante per lo sviluppo attuale della nostra civiltà.

 

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