Lo Zibaldone
Spinoza o la buona vita
di Francesco Roat
Il 27 luglio 1656 ‒ presso la comunità degli ebrei portoghesi ad Amsterdam, dove vive il venticinquenne Spinoza ‒ un avvenimento cruciale è destinato a segnare l’esistenza di quello che sarebbe divenuto uno dei filosofi più significativi della modernità. Il rabbino Morteira, nonché maestro del giovane Baruch, emette una terribile maledizione contro il suo allievo, espellendolo dalla comunità e decretando che, a partire da tale data, nessuno (familiari compresi) potrà più frequentarlo e men che meno leggere i suoi scritti. Motivo di tale ostracismo: varie ed inaccettabili idee eterodosse professate da Spinoza in merito alla religione. Effetto: allontanamento da Amsterdam e conseguente vita raminga, appartata e modesta in varie località olandesi, presso le quali Baruch eserciterà l’apprezzata ma onerosa professione di molatore di lenti, la quale gli permetterà comunque di campare e di continuare a scrivere.
Carlo Sini, in un notevole saggio recentemente pubblicato da Jaka Book, ritiene che la cacciata dalla comunità sefardita abbia contribuito non poco alla maturazione del Nostro, che, ben presto si rende conto di come ‒ scrive giusto Spinoza nel giovanile Tractatus de intellecltus emendatione ‒: “tutti i beni che temevo di perdere e tutti i mali che temevo di ricevere non avevano in sé nulla di bene né di male, se non in quanto l’animo ne era turbato”, e così conclude: “Decisi infine di ricercare se si desse qualcosa che fosse un Bene vero e condivisibile”. Progetto e ricerca ambiziosi, ma perseguiti con assoluta determinazione per tutta un’esistenza consacrata alla filosofia e che sfoceranno nel capolavoro di Spinoza: l’Etica, dove egli cercò di dimostrare come la nostra prosperità e il nostro benessere non risiedano nella mera fruizione di passioni impulsive, bensì in una vita dedicata a concentrarsi tanto sull’interiorità quanto sull’esercizio della razionalità critica, adeguandosi all’ordine della natura, che per il pensatore olandese equivale a Dio (Deus sive natura: Dio ossia la natura).
Una filosofia come amore/ricerca della saggezza, la quale ‒ nota Sini ‒: “non si limita a chiedere che cosa sai, ma che soprattutto domanda se sei felice e che ne è della tua vita, se essa è in salvo oppure dispersa in un frenetico frastuono di variabili propositi, pretese speranze e ostinate ambizioni”. Ma in qual modo ottenere la buona vita o eudaimonia, come la chiamavano i filosofi stoici, a cui Spinoza si rifà? La serenità interiore o magnanimità cara al filosofo olandese è, si diceva, frutto di un comportamento razionale indirizzato alla virtù, ed in parallelo implica l’accettazione della necessità ineludibile; ma non solo. Si tratta di cogliere la propria vita, benché transeunte e vulnerabile, sub specie aeternitatis: sotto la condizione divina dell’eterno.
Dice bene l’autore del saggio: “Secondo Spinoza noi siamo tutti un itinerario della mente nel corpo di Dio”, ovvero della natura, “in una presenza insormontabile ed eterna”. Ogni essere vivente, ogni cosa si metamorfizza, però niente viene annichilito, scompare mai dall’orizzonte dell’essere. Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma, dunque, potremmo aggiungere citando Lavoisier. Saggezza quindi sarà non mirare all’impossibile, né venire angustiati da pensieri vani rispetto all’umana finitudine, giacché forte, per il Nostro, è colui che non pensa alla morte bensì alla vita. Sini altresì sintetizza magistralmente la modernità della psicologia spinoziana, osservando come essa ritenga che: “gli affanni e le disgrazie dell’animo hanno origine soprattutto da un amore eccessivo rivolto a cose che sono soggette a cambiamenti (…), cose che non abbiamo il potere di dominare”.
L’autentico bene, allora, sta in una fortitudo che è la capacità di affrontare/accogliere quell’avventura che è l’esistenza, purtroppo attraversata spesso dalla sventura. Ma non è sufficiente perseguire il mero benessere individuale, bensì occorre mirare a quello comune. E qui l’etica si salda alla politica nel senso più nobile del termine, al fine di realizzare appunto una comunità che permetta ad ognuno di raggiungere la massima felicità possibile in questo mondo, qui ed ora, non certo illudendoci nella vana speranza di ricompense future nell’aldilà.
Carlo Sini,
Spinoza o la buona vita
Jaca Book, 2022, pp. 134, euro 20,00

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