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Lo Zibaldone

Sara Alfieri: “L’abito invernale”

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Sara Alfieri, studi linguistici interrotti, letture che spaziano dalle favole ai grandi classici, dai romanzi d’avventura a quelli di ogni genere; sogni a occhi aperti, immagini di persone inventate. Trova nello scrivere un lento navigare che non tocca mai terra. Pubblica nel 2019 per Kimerik il romanzo “L’abito invernale”.

 

«Ci presenti la tua opera L’abito invernale?».

Premesso che per me è molto più difficile fare un sunto di qualcosa, anche se è qualcosa che conosco bene, che non scriverlo (questo non per presunzione ma perché non possiedo il dono della sintesi), ci proverò. Ambientato principalmente a Belmont, nel Bronx, su tre piani temporali, 1942-1996-2015, è la saga di due famiglie: i Maladian e i Deauville. A cui fa capo la linea dei Maladian, il cui capostipite, il sarto André, realizzerà l’abito invernale per la nipote Carole, la quale diventerà una grande attrice teatrale e si innamorerà (nel 1996) del promettente pianista Simon, nipote di Jacques Deauville, ex pianista della National Symphony Orchestra di Toscanini. L’abito, tinto con il colorante blu ottenuto dal Pastel (Isatis tinctoria), una pianta tintoria coltivata nella Francia del Sud che donò ricchezza immensa ai suoi abitanti in epoca rinascimentale, (non a caso il Pastel era conosciuto come “l’oro blu di Francia”), simboleggia, nel mio romanzo, la libertà perduta. La libertà d’amare che fu negata ad André Maladian, il quale nel 1942, dopo che la sua famiglia fu deportata a Drancy in transito per Auschwitz, per causa indiretta ai fatti del Velodromo d’inverno, fuggì dalla Francia per gli Stati Uniti, abbandonando la fidanzata, per la quale avrebbe dovuto creare un abito, di cui lei stessa, predicendo che non avrebbe potuto indossarlo quell’estate del ’42, dirà: “non importa, vorrà dire che sarà il mio abito invernale”. L’abito diventa quindi per i Maladian, l’emblema di un amore perduto e il suo colore blu il simbolo della cosa più preziosa: la libertà. Libertà che ognuno dei personaggi non possiede veramente appieno, ma che tutti tendono a conquistare, con tutto il proprio essere, nonostante gli ostacoli che impone la vita.

 

«A che genere appartiene il tuo romanzo?».

Io lo definirei un Feuilleton o romanzo d’appendice, dai toni noir.

Il mio sogno è sempre stato quello di scriverne uno. Se mi permetti una digressione, ho sempre amato quei romanzi d’appendice in cui lo scrittore, con grande abilità, dal bel mezzo della storia, ti trasporta in un altro contesto spazio-temporale, per poi riportarti indietro e farti riprendere il filo conduttore. Un libro, che mi colpì per questo fu “L’uomo che non sapeva amare”, di Harold Robbins. Ricordo che pensai: ma come ha fatto a saltare da una storia all’altra? Come vorrei provare a farlo anch’io. Anche se il mio grande amore, che ogni tanto rileggo, è da sempre l’insuperato “Il conte di Montecristo”, di cui è superfluo perfino dire che è stato scritto da Alessandro Dumas. Credo che nessun’altro scrittore, l’abbia mai battuto, sia nella bellezza della storia che nella ricchezza dei particolari che fioriscono in ogni pagina e ti fanno sognare e sognare e sognare….

 

«L’abito invernale è abitato da tantissimi personaggi. Qual è quello che più hai amato caratterizzare, e quale è invece quello che senti più vicino a te?».

Sicuramente, quello che più ho amato, è stato il personaggio di Edwina Weisel, la bisnonna di Carole Maladian. Una donna noir, bellissima e senza scrupoli.

Credo che senza Edwina, il romanzo avrebbe avuto una grossa carenza.

E poi sono proprio i personaggi più crudeli (che forse è anche più facile descrivere) quelli che appassionano di più. Però devono uscire fuori spontaneamente. Non devono essere costruiti. Allora diventano credibili. Quello che sento più vicino a me, è senza dubbio il quattordicenne Johnny, figlio di Simon Deauville, dall’apparente superficialità di carattere, (anche se ho quarant’anni più di lui). Un introverso che vuole dimostrare di essere il contrario, dipendente dalle persone che gli ruotano intorno, timoroso di non essere apprezzato per quello che è, ma che alla fine riesce a far emergere la sua vera personalità, accettandola e imparando a conviverci.

 

«E la domanda sorge spontanea: in una storia attraversata da così tanti personaggi, ce n’è almeno uno che non hai sopportato dal momento stesso in cui è uscito dalla tua penna? Come si fa a gestire un carattere che ispira sentimenti negativi nel suo autore?».

Nemmeno uno. Neanche Duncan Delmore, che può risultare odioso per le sue malefatte.

Anzi, alla fine mi è dispiaciuto perfino farlo morire. Ed è proprio questo il punto.

Non è il personaggio più o meno malvagio o più o meno antipatico, ad ispirare avversione e quindi riluttanza nel doverlo descrivere (e qui parlo soltanto ed esclusivamente per quanto mi riguarda), ma ciò che di male accade a quel personaggio.

 

«L’abito invernale è un romanzo corposo e decisamente complesso. È raccontato infatti quasi un secolo della storia di due famiglie e di tutti coloro che vi gravitano intorno. Nei ringraziamenti alla fine del libro nomini diverse persone che hanno contribuito alle tue ricerche e alla stesura del tuo romanzo. Quanto tempo hai impiegato a scrivere un’opera che si potrebbe definire “monumentale”, e come hai gestito una storia tanto intricata e ricca di personaggi e di ambienti molto diversi tra loro?».

E’ stato un lungo viaggio mentale e faticosissimo. Scritto più che altro di sera, fino alla mezzanotte e nei fine settimana. Ho cominciato a pensarlo nel 2014, a scriverlo nel 2015, a finirlo e rimaneggiarlo nel 2018, quindi 4 anni più o meno. Ogni giorno dicevo: farò l’inizio dell’inizio (perché pensare di non poter mai arrivare alla fine mi causava ansia – oppure: farò solo due righe). Ho gestito il tutto occupandomi di ogni storia in modo separato e documentandomi sui fatti storici e sui luoghi, attraverso libri, anche visionati su Internet. A dire il vero, non ho scritto il romanzo come lo si può leggere adesso, dall’inizio alla fine, ma al contrario, ho cominciato dalla fine, sviluppando le altre storie all’interno, rendendomi conto che ad ogni storia era d’obbligo formarne un’altra, altrimenti quella precedente non avrebbe avuto senso. E tra un racconto e l’altro, c’era uno scambio di mail con i signori citati, i quali sono stati gentilissimi nel fornirmi le informazioni indispensabili per delineare il Midi della Francia (che spero di non aver deturpato), luogo d’elezione del Pastel. La signora Lambert, che possiede grande cultura storica e grande conoscenza tecnica del Pastel, (nel suo Atelier ha riportato in vita quest’arte tintoria con tutto il suo splendore), si è appassionata alla mia vicenda inviandomi le istruzioni basilari sui metodi di colorazione, effettuati sia con la polvere blu, sia con le foglie fresche della pianta. Il signor Émile Gaubert, giornalista della Dépêche du Midi, mi ha dato notizie sui primi moti di resistenza che si andavano formando prima del novembre 1942 nella Francia libera. Purtroppo però, con mio grande dispiacere, ho dovuto togliere dal romanzo circa sessanta pagine che avrebbero dovuto formare la storia dei partigiani francesi (1944), ma che purtroppo non mi è stato possibile inserire perché avrei dovuto rimaneggiarla prima della pubblicazione e ormai non avevo più tempo a causa di problemi famigliari. E’ un peccato perché avrebbe dato maggior risalto al blu, il colore della libertà. La signora Christine Vélay e il signor Christian Fabre, quest’ultimo direttore del Comitato storico del paese di Saint-Félix de Lauragais, sono stati preziosi informatori per dipingere l’ambientazione del paese stesso.

«Quando è nata la tua passione per la scrittura, e come l’hai alimentata? Hai seguito corsi o sei autodidatta?».

Fino a quando avevo vent’anni scrivevo poesie e qualche racconto. Poi, di colpo smisi e buttai via tutto, perché non mi sentivo in grado di mettere sulla carta una storia impegnativa. E un po’ per pigrizia, un po’ per via della vita che ti porta verso altre strade, decisi di non scrivere più.

Circa quindici anni fa, avvenne un cambiamento in me, molto lento (non sono mai stata molto sveglia!). Sentivo di aver perso qualcosa. Mi venne voglia di ritrovare i miei scritti, che anche se brutti, avrebbero potuto darmi quel qualcosa che mi mancava. Piano piano, ritornò quindi tutta la passione per la scrittura, che avevo sentito da giovane, e quando provai a buttare giù qualcosa, quel qualcosa riempì il vuoto che avevo sentito. La possibilità di esprimermi poi mi venne data dalla Kimerik, che ringrazio infinitamente. La dott.ssa Petronilla Bonavita che ha curato l’edizione del romanzo ha avuto una pazienza immane ad apportare i miei ritocchi prima della versione definitiva. Sì, sono quindi assolutamente un’autodidatta, con tutta la scarsità e i difetti implicati nella mia prosa.

 

«Vuoi condividere con noi una citazione alla tua opera che ti sta particolarmente a cuore?».

Certo, eccola:

“Non ci sono giorni nella vita così memorabili come quelli che hanno vibrato sotto i colpi dell’immaginazione.”
Ralph Waldo Emerson

 

 

 

Titolo: L’abito invernale

Autore: Sara Alfieri

Genere: Narrativa contemporanea

Casa Editrice: Casa Editrice Kimerik

Collana: Kimera

Pagine: Tomo1: 510; Tomo2: 724

Prezzo: 28,00 €

Codice ISBN: 978-88-937-59-885

 

 

Contatti

https://www.kimerik.it/Home.asp

https://www.youtube.com/watch?v=lJ9fBTjnQYA

https://www.amazon.it/Labito-invernale-Sara-Alfieri/dp/8893759888

https://www.kimerik.it/SchedaProdotto.asp?Id=3512

 

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