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Lo Zibaldone

Roberto Cecchetti: “Il ritmo del desiderio. Da Jung alle pratiche filosofiche”

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Roberto Cecchetti (Fiesole, 1984) è dottore in Filosofia e in Psicologia, è analista filosofo (Sabof) e docente di filosofia presso la Scuola di Psicoterapia Erich Fromm di Prato. Nel 2017 pubblica per Attucci Editore la sua autobiografia “La metrica dell’apparenza. Nel 2019 pubblica per Mimesis Edizioni il saggio “Il ritmo del desiderio. Da Jung alle pratiche filosofiche”. È inoltre in uscita a febbraio 2020 per Gog un volume collettaneo dedicato al tema del fantastico dal titolo “Oltre il reale”.

 

«Ci presenti il tuo nuovo saggio Il ritmo del desiderio. Da Jung alle pratiche filosofiche?».

Si ripete spesso che la filosofia nasce dall’incontro con la dimensione della meraviglia. Ebbene questo stato quasi estatico non riguarda solo la filosofia, pur essendo il suo nucleo, ma si tratta di un movimento interiore che spesso è stato descritto nei termini di una vera e propria conversione. C’è un istante in cui tutto acquista un senso e la vita da prima solo subita trapassa in qualcosa di più autentico, di più individuale, si comincia a leggere il mondo attraverso un’ottica non solo rinnovata ma del tutto inedita. Ecco che il volume comincia con una prima parte in cui al centro c’è una sorta di autobiografia filosofica in cui cerco di mostrare come alcuni temi, problemi e questioni filosofiche abbiano dato forma al mio personale modo di leggere la realtà. Nietzsche parlava di trasvalutazione di valori, di “grande stile”, e Heidegger ci ricorda della centralità dell’elemento estetico nel pensiero del grande annunciatore della cosiddetta “morte di Dio.” La filosofia, come ricordava Hadot, è una trasformazione della percezione del mondo ed io desideravo dare testimonianza di questa verità. Questa trasvalutazione è affare dell’artista e del filosofo. Al centro del libro c’è un intreccio fra biografia e teoria, per riprendere uno degli insegnamenti del mio caro maestro Romano Madera. Quindi nella prima parte il lettore si troverà in una particolare visione delle cose che spero riesca a meravigliarlo perché vorrebbe dire che avrei trasformato il lettore in filosofo. La seconda parte è invece più saggistica e nasce dalla mia lettura dell’Opera di Jung, dal mio confronto con le ricerche di uno studioso che non pensava di fare filosofia ma si preoccupava primariamente di curare i propri pazienti. Jung era appunto uno psichiatra, come tutti sanno, eppure i suoi interessi erano davvero molteplici e spaziavano dalla filosofia alla teologia, dall’ermetismo all’alchimia, dalla fisica all’astrologia. Jung viene spesso presentato come il padre della psicologia analitica e questo se è certamente vero è però riduttivo. L’idea che mi sono fatto, supportato in questo dallo studio degli autori dell’idealismo e dai grandi studiosi del pensiero della tradizione, è che il centro dell’interesse di Jung consistesse nel tentativo di scoprire e di svelare il significato ultimo e più nascosto di alcuni elementi propri dell’uomo tradizionale e di quei meccanismi della psiche dai quali si determina non solo la malattia psichica ma anche la “liberazione” dell’individuo. Il libro indaga anche l’opera di Erich Neumann, grande successore di Jung, e cerca di mostrare come l’indagine di Neumann era volta a fornire alcuni strumenti ancora oggi utilissimi per far sì che avvenga quella rinascita, quella conversione di cui parlavo all’inizio, cioè per fare in modo che la luce della coscienza si liberi gradualmente dall’oscurità dell’inconscio.

 

«A quale tipo di lettore è rivolta la tua opera? È necessario avere una conoscenza di base in ambito filosofico per comprendere il tuo saggio?».

Come dicevo il mio obiettivo è quello di spalancare uno scenario che possa condurre il lettore anche del tutto a digiuno di filosofia verso territori sconosciuti, verso forme altre del pensare. In fin dei conti è lo stesso obiettivo che si prefigge l’artista, dare una lettura inedita delle cose. Per questo ho adottato, specie nella prima parte, un linguaggio non accademico ma quasi letterario, una scrittura quasi trasognata, che può ricordare alcuni scritti di Calasso e ai quali senz’altro si ispira. Per quanto riguarda la seconda parte del volume, le cose sono un pò diverse, si parla di idealismo, di idealismo magico, si scava nel pensiero di Jung e Neumann e nelle differenze fra la via della psicologia e la via della tradizione. Sono temi complessi ma sarebbe giusto che tutti provassero ad avvicinarsi anche a simili questioni.

 

«Oltre che scrittore sei un analista filosofo, e per te è importante che la filosofia torni a essere una pratica di vita e uno strumento di cura. In che modo si può affiancare la filosofia alla psicoanalisi in un percorso terapeutico?».

La filosofia si occupa da sempre delle domande ultime, fondanti.

Potrei dire che la filosofia, l’atteggiamento filosofico, è una sorta di esercizio che ciascuno dovrebbe compiere. Questo esercitarsi, proprio delle antiche scuole filosofiche, riguarda tutti, nessuno escluso, in quanto è un mettersi in relazione con quelle domande fondamentali da cui dipende il nostro particolare orientamento nel mondo. L’approccio dell’analista ad orientamento filosofico è in primo luogo biografico ed autobiografico, ovvero ha a che fare con la vita del singolo la quale da sempre è situata in un contesto e da sempre è inserita, gettata, in un mondo fatto di relazioni, in ambiti specifici. Occorre , anche in un’ottica che potremmo definire bio-psico-sociale, possedere non solo le chiavi di lettura dello psichico ma anche del contesto, dei costrutti sociali, della storia del pensiero come storia delle modalità fondamentali con cui interroghiamo e ci rapportiamo di volta in volta con le cose, e pensiamo l’essenza delle cose. Per Nietzsche, ad esempio, l’essenza delle cose è volontà di potenza, ogni cosa è volontà di volontà, e l’uomo è chiamato ad un oltrepassamento di sé. Per Jung invece il centro del discorso è il desiderio come desiderio inconscio. Mi soffermo a lungo su questo punto nel libro, perché è qui che si manifesta la dialettica junghiana. Ecco allora che il compito di ciascuno, di ogni uomo nella sua condizione di apparente normalità, è chiamato ad un costante lavoro in cui ciò che nella vita è implicito possa divenire esplicito. Non è forse questo che si ha in mente quando si vuole mettere in relazione l’inconscio con la coscienza? Rendere esplicito l’implicito. E la nostra vita è per lo più inconscia, implicita, in conclusione non ci appartiene affatto ma è come se fossimo continuamente diretti da forze che, se non riconosciute, determinano il nostro stesso destino.

 

«Che cosa intendi quando parli del ritmo del desiderio? E perché gli hai dedicato un saggio filosofico?»

Direi che si tratta di una immagine, di una figura che senz’altro appare decisamente astratta. L’ho considerata però rilevante sotto due profili: da un lato si lega alla mia autobiografia, perché fin da ragazzino mi sono dedicato allo studio della batteria, e quindi la metafora del ritmo mi sembrava appropriata per iniziare a parlare di molti altri temi perché a ben vedere possono benissimo essere ricondotti lì, alla ritmicità, al suono, alla musica, ma anche alla disciplina che implica una conoscenza di sé progressiva e mai staccata dal corpo.

Dall’altro lato il desiderio inconscio nel pensiero di Jung si muove, si introverte e si estroverte, regredisce su alcuni centri magnetici, su alcune immagini, il desiderio si trasforma in simboli, si scontra con alcune barriere, deve fare i conti con il negativo… questo significa che il desiderio, come libido, come energia, possiede dei ritmi suoi propri. Del resto anche il nostro stesso comportamento, il nostro atteggiamento comune assume ritmi diversi a seconda del vissuto che in quel momento ci connota.

 

«Al di là di Carl Gustav Jung, quali sono state le fonti di ispirazione per la tua opera?».

Tutto iniziò con una cena in cui mi trovavi a sedere accanto al mio maestro, Romano Màdera. Ad un tratto mi chiese se avevo progetti particolari, se mi stessi dedicando a qualche tema specifico. Allora gli parlai del desiderio, della possibilità di accostarlo al tapas degli indù, gli dissi che studiando Jung mi pareva che il tema di fondo era quello della libertà, ovvero di come si crea la Pietra filosofale. Mi pareva che Jung avesse saputo svelare il mistero del magico da una prospettiva psicologica, empirica, per certi versi filosofica. Fu allora che nacque l’idea del libro. Da lì certamente mi sono messo a studiare autori che avevano parlato di tradizione, autori che in parte già conoscevo, come Guénon, Evola, Eliade, Zolla… autori straordinari. Senz’altro Calasso è un altro grande autore a cui mi ispiro. Nel frattempo ho avuto modo di conoscere il prof. Massimo Donà, un grande filosofo e un bravissimo docente, il quale mi ha dato alcune chiavi di lettura per quanto riguarda l’idealismo. Infine l’amicizia con il collega Luca Siniscalco è stata preziosa perché la filosofia è dialogo e confronto con chi condivide le stesse passioni.

 

«Come può l’essere umano fare un passo in avanti nella conquista della propria libertà e nello sviluppo della propria coscienza, al fine di emanciparsi dall’inconscio?».

Per tentare di dare una possibile risposta bisogna accennare brevemente al fatto capitale e decisivo che costituisce l’essenza de nostro tempo. Questo evento è rappresentato dalla cosiddetta “morte di Dio” che coincide con la fine dei vecchi valori. Che cosa siano i valori ce lo dice bene Heidegger; I valori sono i modi di interrogare l’ente, sono le modalità fondamentali con cui trattiamo e ci intratteniamo con le cose, in una parola i valori sono le categorie che da Aristotele a Kant stanno alla base della logica e del linguaggio, in una parola, del giudizio. Ora la morte di Dio sta a significare che per l’uomo il platonismo si rovescia, nel senso che tutte le verità considerate idee eterne e soprasensibili non sono più ritenute esistenti, fondanti, reali. Se le verità si svalutano, i modi di interrogare l’ente debbono essere ripensati – anche in vista dei frutti nichilistici che hanno portato – e questo significa che l’essere umano è chiamato a rifondare in assoluta libertà il proprio scenario, il proprio destino. Il tema del destino, notiamolo di sfuggita, è decisivo sia per Jung sia per Neumann. Vedete, libertà e destino si richiamano l’uno con l’altro. Sono libero nella misura in cui sono libero di determinare il mio destino. È proprio con questa libertà che fanno i conti gli autori di cui tratto nel libro. C’è un punto chiave da considerare a questo punto. L’uomo nasce in una condizione in cui la coscienza non è ancora differenziata rispetto all’inconscio. Questo non lo si noterà mai abbastanza ma è uno degli aspetti più considerevoli del pensiero psicologico. Il compito dall’uomo è quello di differenziare la propria coscienza dall’inconscio, la luce della coscienza deve a poco a poco costituirsi a scapito della fusionalità originaria (fusionalità che spesso rappresenta uno dei mali principali del nostro secolo). È qui che Neumann vide tutta l’importanza e l’utilità del mito e della ritualità. Brevemente posso dire che il mito, essendo un prodotto dell’inconscio rappresenta un ponte fra coscienza ed inconscio, è come una via tracciata per il raggiungimento di determinati obiettivi. Il racconto mitico serve per indirizzare la libido inconscia verso la differenziazione, verso l’individuazione, come vediamo in primo luogo nel racconto delle imprese dell’eroe. Apparentemente, dopo la cesura della modernità, questi miti non ci parlerebbero più come un tempo, eppure il funzionamento della psiche e le dinamiche dell’inconscio rimangono le stesse. A questo proposito, insieme a colleghi psicoterapeuti, sto mettendo a punto un tipo di terapia che singolarmente e in setting gruppali sia in grado di agire attraverso la ricostruzione di miti inediti da agire attraverso una ritualità mitico-simbolica.

 

«So che uscirà a breve un volume collettaneo dal titolo Oltre il reale. Puoi darci qualche anticipazione sulle tematiche che affronterà?».

Sì, è un volume imperdibile per tutti gli amanti della narrativa del fantastico. Il volume è stato fortemente voluto da Lorenzo Pennacchi, che ha riunito oltre al sottoscritto altri filosofi,   esperti di narrativa e temi tradizionali. Si tratta di un libro che raccoglie cinque saggi su cinque autori del fantastico: Lovercraft, Machen, Meyrink, Smith e ovviamente Tolkien. Io mi sono occupato di Meyrink ed ho scoperto con grande sorpresa che Jung stesso era molto legato all’opera di questo autore decisamente esoterico ed occulto. Ne era affascinato al punto che volle chiamare quel libro misterioso che avrebbe raccolto i suoi dialoghi più intimi con l’inconscio, Libro rosso, proprio richiamandosi a Meyrink. Del resto non si capirebbe il secolo scorso ed il pensiero di Jung senza conoscere quali fossero gli interessi più o meno esoterici, alchemici ed ermetici, che ispiravano le più varie e talvolta strane ricerche di gruppi e società della vecchia Europa. Il fantastico per me rappresenta in questo senso una possibilità di pensare altrimenti, come direbbe Màdera, oppure una sorta di Realismo Fantastico per cui la realtà sarebbe molto più fantastica di quello che siamo in grado di immaginare. In ogni caso, per concludere, mi sembra che tutto ciò che riguardi l’aspetto creativo ed immaginale dell’umano rappresenti una delle risorse più importati per la trasformazione dell’inconscio e quindi per la possibilità di intravedere nuove possibilità per la realizzazione individuale e per la costruzione di un senso che sia un riferimento anche per la nostra società, tanto apparentemente libera quanto sprofondata nella quasi totale inconsapevolezza

Antonella Quaglia

 

Titolo: Il ritmo del desiderio. Da Jung alle pratiche filosofiche

Autore: Roberto Cecchetti

Genere: Saggio – Filosofia occidentale moderna

Casa Editrice: Mimesis Edizioni

Collana: Philo – Pratiche filosofiche

Pagine: 208

 

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