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Ritratto di un giornalista rock: i libri di Lester Bangs
di Giovanni Graziano Manca
Ho scoperto quasi per caso i libri di Lester Bangs molti anni fa. Li rileggo oggi (vengono pubblicati in Italia da Minimum Fax) con un senso di grande rimpianto (per il grande vuoto che egli, nel campo del giornalismo musicale e non solo lascia dopo la sua morte) e con interesse rinnovato (per l’estrema attualità del messaggio veicolato dai suoi scritti). Lester Bangs appartiene alla non vastissima pletora di scrittori che insperatamente (o forse, addirittura, a dispetto delle proprie intenzioni) sono riusciti a guadagnarsi uno spazio (grande o piccolo sarà il tempo, per ciascuno di loro, a dirlo) nell’ambito della letteratura statunitense contemporanea. Tra i più grandi giornalisti che gli ambienti della musica pop e gli appassionati di questo genere musicale abbiano mai avuto modo di conoscere (lavorò per Rolling Stone, Creem, testata di cui divenne tra i principali editorialisti, New Musical Express, Village Voice, tutte riviste di culto, nel loro genere), esponente del c.d. ‘New Journalism’ [1], il debito di Bangs nei confronti di
Hunter G. Thompson [2], appare oggi innegabile.
Nell’introdurre il libro di Bangs ‘Psychotic Reactions and Carburator Dung’, Greil Marcus sostiene significativamente che ‘forse questo libro chiede al lettore di essere disposto ad accettare il fatto che il migliore scrittore americano sapesse scrivere quasi esclusivamente recensioni di dischi’ [3].
Dal canto suo Anna Mioni, che ha tradotto diversi lavori di Bangs in italiano, ha commentato che ‘tradurre Bangs significa non imbrigliare la sua improvvisazione ma salire sul cavallo brado della sua macchina da scrivere e lasciarsi portare dove vuole lui’ [4].
La prosa spontanea e immediata di Bangs è priva di ambiguità e sopratutto nei primi scritti sembra non lasciare spazio a sottointesi o ad abbellimenti stilistici. Né, con particolare riferimento ai contenuti, si può dire che Bangs abbia usato mezzi termini per descrivere lo sfacelo del sistema americano:
“Ho detto a Andy che avevo previsto ampiamente la rottura delle cuciture della vecchia redingote americana, e ho aggiunto: – Immaginavo che non potesse andare altrimenti…-, e lei ha risposto: – La democrazia non funziona, è un peccato ma non funzionerà mai -, e io ho detto: – Il motivo per cui sta andando tutto a pezzi in questo modo è che gli americani vivono di ricordi da troppo tempo… E’ troppo tempo che trasmettiamo il sogno americano su tutte le stazioni come se fosse vangelo e tutti si accontentano… vivendo di ricordi… . La nazione ora sta precipitando perché la gente non è stata capace di affrontare il momento in cui la saetta di granito gli è caduta dritta sulla zucca, il fatto che il Sogno Americano è solo un sogno, e che la Realtà Americana è un imperativo, una polveriera pronta a esplodere – [5].
Lester Bangs, lo si vede bene anche nel film Almost famous di Cameron Crowe dove viene impersonato da un (come al solito) grande Philip Seymour Hoffman, era ben cosciente di costituire, nell’ambito del sistema americano, una scheggia impazzita, una sorta di Lenny Bruce che scriveva di musica; nel 1973 riuscì persino a farsi licenziare da Jann Wenner, direttore della “Bibbia del rock”, la rivista musicale Rolling Stone, per avere espresso giudizi negativi nei confronti, sembra, del gruppo rock blues americano Canned Heat. Invero fu, il parlare in termini non lusinghieri dei Canned Heat, solo una delle tante manifestazioni di scarsa stima nei confronti dell’industria discografica americana da parte di Lester Bangs: era sempre nel mirino del giornalista americano il sistema dell’editoria musicale nel suo complesso. Tra le accuse di Bangs vi erano quelle basate sulla constatazione del fatto che le riviste rock erano solite porsi in una condizione di ‘conveniente’ sudditanza rispetto al sistema delle major, le maggiori etichette musicali che avevano sotto contratto i cantanti e i gruppi più famosi del pop mondiale. Geniale, introverso e coerente fino all’ultimo dei suoi giorni, scrittore a tratti ombelicale che è stato definito ‘generazionale’, Bangs sperimentò la solitudine più nera perché questo è ciò che solitamente accade ai personaggi scomodi come lui. Dice di lui il critico Jim De Rogatis:
[…] quando lo incontrai era ridotto veramente male. Connetteva poco, beveva come una spugna e ogni volta che beveva si scusava con noi, che lo incontravamo per la prima volta. Non si vergognò a dire di sentirsi terribilmente solo. Ci fece pescare da una cassetta di frutta piena di dischi tutti quelli che volevamo e ce li regalò […] mi ricordo che salutandoci ci chiese se sapevamo di qualche altro lavoretto intorno di qualunque tipo, – anche non di musica – disse… per me fu uno shock… trovarmi dinanzi all’uomo che più aveva influenzato il mio modo di scrivere e vederlo ridotto così… decisi che non mi sarei mai voluto trovare nella mia vita in uno stato del genere… [6].
Poco incline al compromesso e a qualsiasi tipo di ‘allineamento’, scostante specie nei confronti di molti suoi colleghi critici e da loro in questo senso ricambiato e duramente criticato, Bangs trovò costantemente rifugio nella scrittura:
Qualsiasi altra cosa succeda, – scriveva Bangs già nel 1968 – ho chiuso con lo sfogliare riviste e giornali e opuscoli e chissà che altro nel vano sforzo di capire cosa sta succedendo in tutte quelle oscure regioni che ho intorno. Che si fottano tutti, sono dei conformisti, da una parte e dall’altra. Io sono l’unico uomo integro di quel giro. Scriverò più che posso, ecco cosa voglio fare, vi accompagnerò in una visita guidata della mia Vena delirante, cercando di rendervi comprensibili quanto più posso gli affreschi incisi sulle pareti interne del mio cranio, con pochissime cazzate spermaverbali anfetamagiche vecchio stile […] sì, voglio almeno rendervi finalmente comprensibile e davvero personale il territorio del mio spirito, un barlume e uno schizzo nell’intervallo tra una fase normale e l’altra, forse posso raggiungere quello che qui intravedo in fieri, e far sì che quest’estate una volta tanto da quei visi bianchi e vuoti si sprigioni una vera espressione, ora o mai più, né prima né dopo [7].
Ecco, queste umanissime parole di Bangs tracciano il ritratto di un uomo fragile dalla scorza apparentemente dura, un uomo con una indole autodistruttiva tale che da sola bastò a ‘giustificare’ senza tanti patemi d’animo la sua morte a 33 anni, nel 1982, per sovradosaggio di sostanze psicotrope.
Note:
[1] Il ‘nuovo giornalismo’ si afferma negli Stati Uniti a cavallo dei decenni Sessanta e Settanta del secolo scorso. Ne fecero parte autori come Norman Mailer, Truman Capote, Hunter S. Thompson ed altri. Per descrivere la realtà osservata e vissuta, gli autori del New Journalism utilizzarono ciascuno le proprie peculiarità letterarie unite alla tendenza per una marcata anticonvenzionalità dello stile. All’interno del New Journalism, poi, la affermazione del ‘gonzo Journalism’ è dovuta alla penna di Hunter S. Thompson. Nell’ambito di questa forma giornalistica di scrittura, il fatto viene descritto e dato per veritiero anche se a trovare maggior precisione e descrizione puntuale sono il vissuto e le sensazioni personali dell’autore più che la stretta oggettività degli eventi.
[2] Hunter G. Thompson fu il capostipite del ‘Gonzo Journalism’. Anche lui, come Bangs, scrisse per riviste rock, in particolare curò le pagine politiche di Rolling Stone.
[3] Lester Bangs, Guida ragionevole al frastuono più atroce, a cura di Greil Marcus, tr.it. di Anna Mioni, Minimum Fax, Roma 2005, p.21.
[4] Altre interessanti considerazioni di Anna Mioni si trovano su: Minimum Fax, sito internet visitato in data 23.05.2015.
[5] Lester Bangs, Impubblicabile!, tr.it. di Anna Mioni, Minimum Fax, Roma 2008, p.19.
[6] Jim De Rogatis, su: Il popolo del blues, sito internet visitato in data 23.05.2015.
[7] Lester Bangs, cit. pp.22-23.

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