Lo Zibaldone
Riflessioni in armonia
Se il De Sanctis racconta di «un tavolino che chiamano scrivania» e lo colloca in una stanzetta polverosa di un severo collegio, sono ben altri i tavolini che si possono trovare di fronte al Latemar, allo Sciliar e ad altre meraviglie delle nostre montagne. Tavolini «col piano di latta dei vari Bar Alpi o Hotel Dolomiti», buoni per appoggiarci mazzetti di cartoline e consumare «strazianti e rabbiosi conflitti» nel decidere se scrivere “Cari saluti” o “Saluti cari”… o addirittura (tutto sommato il ricordo autobiografico di Bruno Aprea sfocia in embrioni di letteratura anche se lui stesso precisa «non posso dire di aver avuto un vero passato letterario») qualcosa come “Pensieri cari”. Quanta ammirazione per il padre che, dopo un visita alla Cappella degli Scrovegni (si passava da Padova per andare sulle Dolomiti), seppe scrivere di getto su una cartolina recante le opere di Giotto “Quando la Pittura è Musica”.
Quando la Musica è Vita (e la musica è una parte essenziale dell’esistenza e passione inseparabile per l’autore di Filosolfeggiando e cioè per il Maestro Aprea, direttore d’orchestra – anche vincitore del KoussevitzkyPrize nel 1977 – presso importanti istituzioni in Italia, Europa, Stati Uniti, Sudamerica e Oriente) nulla può stupire, nemmeno la capacità di svolgere (e di scrivere e trascrivere sulle pagine di un libro, non su uno spartito) riflessioni in un’armonia che sa di musica. Chiavi, pentagrammi, battute? Battute, Walter Pedullà osserva che ad Aprea basta una battuta per scrivere una commedia superando forse in sintesi addirittura un Achille Campanile che per una tragedia aveva bisogno di due battute. Durate di note, semibreve? Semibreve (sempre con riferimento all’introduzione di Pedullà) è «la tecnica del lasciare in sospeso un discorso che sarebbe noioso, anzi dannoso, allungare».
Nel capitolo “Accordi” (chiamiamolo capitolo, in realtà la scansione del libro si snoda in modo assai poco convenzionale e refrattario ad ogni classificazione) Aprea ci ripresenta il Keplero (già incontrato, con la buona compagnia di Schumann, Caccioppoli e Galileo, all’inizio del volume) più musicale, quello che affermò come i moti celesti fossero «una sorta di perenne armonia» attuata mediante «una dissonante tensione» in movimento verso «determinate cadenze». Giochi di forme, riflessioni in armonia.
Bruno Aprea
Filosolfeggiando – (S)quinterni di (S)confessioni
Armando Curcio Editore, 2014
pp.256, Euro 12,90
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