Lo Zibaldone
Ricette umorali. Il bis
Dopo l’apologia della Nutella, la ricetta dell’Aulin e il dramma del rigiro della frittata, Isabella Pedicini torna a discorrere di cibo.
A circa due anni dalla pubblicazione di Ricette Umorali, fa il bis con un secondo trattato gastro-filosofico in cui unisce, agli ingredienti delle pietanze, i sentimenti dello chef e gli stati d’animo dei commensali.
Ironico, irriverente, nemico dei prontuari tradizionali di cucina e delle mode alimentari, Ricette Umorali il bis conserva l’amore per la buona tavola e il profondo rispetto per il substrato simbolico del cibo, ma al primo volume aggiunge una visione estrema del desco con manicaretti volutamente poco commestibili, come l’Amuchina o le crocchette per il miglior amico dell’uomo. Se, poi, per un buon barbecue è indispensabile la lettura de Le Braci di Sandor Marai, triste risulta invece la sorte del dolce più famoso della letteratura, la Madelaine, che anziché scintillare nelle vetrine di Cartier, è relegata al fondo degli scaffali dei supermercati. Molti sono i rimandi alle lettere, ma anche alla musica, al cinema e all’arte figurativa. Senza però mai perdere di vista il piatto, il gusto e la convivialità della buona tavola.
Tu sei una storica dell’arte. Come nasce l’idea di scrivere di cucina?
Ho cominciato a comporre questi testi culinari su un blog poiché il cibo, insieme all’arte, rappresenta la mia grande passione. Tuttavia, le mie non sono ricette in senso stretto: partono con tutti i crismi dei prontuari per poi divagare, stravolgersi, non giungere mai a effettivo compimento. Le preparazioni si mescolano a ricordi, spunti e suggestioni suggerite dagli ingredienti.
Nel primo libro hai raccontato la tua esperienza di studentessa fuori sede che, per mera sopravvivenza, tra fornelli di fortuna, coinquilini ed esami, impara finalmente a cucinare. Qual è stavolta il filo rosso che unisce le ricette?
Sullo sfondo di Ricette Umorali il bis si aggira un fenomeno che contrassegna la mia generazione (e non solo): la fuga di palati ossia la diretta conseguenza della fuga dei cervelli. A ogni cervello che emigra corrisponde, difatti, un palato che inevitabilmente lo segue e, di conseguenza, una cucina estera da esplorare e una lancinante nostalgia dei sapori di casa.
Mi interessa, inoltre, la traduzione della cucina italiana all’estero e, di contro, la trasposizione delle cucine etniche qui da noi. Anche gli innesti tra diverse gastronomie sono preziosi e, a volte, esilaranti. E sulla disperazione dell’italiano in cerca di un espresso in un paese straniero si potrebbero scrivere tomi.
Le ricette sono suddivise in base agli umori e organizzate in base alle figure della geometria solida. Come mai?
Gli umori rappresentano la cifra identitaria di entrambi i libri: la mia è una gastronomia emotiva in cui tutte le pietanze sono calibrate secondo gli stati d’animo che, più delle spezie e del grado di cottura, influiscono sulla riuscita del piatto.
Se nel primo libro la suddivisione delle ricette era pensata in base agli utensili di cucina, in Ricette Umorali il bis la ripartizione segue le forme delle figure solide, cercando una corrispondenza tra una geometria codificata e quella interiore che, proprio attraverso il cibo, viene allo scoperto. Le pietanze costituiscono, infatti, un formidabile veicolo di narrazione, uno strumento con cui costruire racconti e squadernare memorie e flussi di coscienza.
Intervista a cura di Francesca Magni
www.westegg.it

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