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Lo Zibaldone

Quaderni proletari

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di Stefano Tamburini

L’inchiostro che ha viaggiato nel tempo, impresso con calligrafia minuta ma chiarissima in quaderni che profumano d’antico, è molto più che una testimonianza, una raccolta di ricordi personali e di considerazioni politiche. Questo libro scritto da Fabio Demi, utilizzando i quaderni di un uomo di campagna e di fabbrica come Gino Tinagli, il padre della suocera, va oltre il racconto del cammino di un signore scomparso nel 1983, quando aveva 79 anni. Non c’è solo il racconto di un’esistenza certamente complicata ma senza la rinuncia alla dignità. Non c’è solo un cammino attraversato da guerre, miseria e riscatto sociale. Quella che troverete nelle prossime pagine è una bella storia che parte da Bolgheri, transita per la Rampa Merciai a Venturina e si chiude a Piombino, ma l’ambientazione è un “di più” che aggiunge valore a un contesto che potrebbe essere quello di mille altre parti d’Italia a quel tempo. Ed è il racconto, passo dopo passo, epoca dopo epoca, di quel riscatto sociale che ha consegnato alle generazioni successive un’esistenza molto migliore di quella che da ragazzi Gino e gli altri hanno dovuto subire.

Il libro è una via di mezzo tra “Fontamara” di Ignazio Silone e “Radici” di Alex Haley, non tanto nello stile narrativo, quanto nel valore di una testimonianza che arriva a noi da un passato che sembra più lontano di quanto non lo sia realmente. Come in “Fontamara”, nella prima parte, illustra  umiliazioni quotidiane molto simili a quelle subite dai “Cafoni” della Marsica. E quanto a “Radici” non va indietro fino a Kunta Kinte, figlio del guerriero Omoro, ma abbraccia il passato fino a tentare di capire un presente molto diverso ma che vede minacciate parecchie di quelle libertà che passo dopo passo quelli come Gino hanno saputo conquistare. Il titolo “Quaderni proletari” è molto efficace, sia perché contestualizza l’ambito sociale di quello che in qualche modo riesce a essere un romanzo pieno di emozioni, sia perché recupera una parola che ha fatto parte della storia e dello sviluppo economico del territorio in cui si svolge la storia raccontata da Fabio Demi con gli scritti di Gino Tinagli. “Proletaria” era il nome originale della cooperativa di consumo che nacque a Piombino alla conclusione della seconda guerra mondiale e che permise a migliaia di famiglie di affrancarsi dalla fame e dalla miseria più nera. Quel nome è stato “ripudiato” nella fase di maggiore sviluppo ed espansione, all’inizio degli anni novanta del secolo scorso per passare prima a Coop Toscana Lazio e poi a Unicoop Tirreno, senza una minima menzione alle origini a margine della ragione sociale. Quelli della fine della “Proletaria” sono gli anni in cui la sinistra comincia a guardare alle classi più deboli quasi come a un fastidio. Non solo quella legata al Partito comunista, che nei territori in cui si svolge la storia è praticamente egemone, ma è pratica comune con quella di tradizione socialista. E anche se nel libro questa fase storica non è presente, è anche a quello che è successo dopo che bisogna guardare con gli occhi di Gino, l’uomo di questi preziosi quaderni che diventano una formidabile macchina del tempo.

E dunque, anche il recupero di un passato che oggi sembra impossibile da riproporre negli stessi termini, diventa un monito. Il libro mette insieme ricordi per farli diventare memoria collettiva, per porre le basi di una riconsiderazione del valore di certe lotte per eliminare le discriminazioni sociali e per porci di fronte al fatto che ciò che Gino e altri come lui hanno saputo conquistare non è stato “gratis”. E lo è ancora meno anche oggi, fra tentativi di riforme che sono sempre peggiorative, con il lavoro precario che diventa quasi la regola, così come quello sottopagato o l’accettazione di livelli di disoccupazione non da Paese evoluto, che fa parte della ristretta élite delle Economie più solide.

Gino ha imparato a scrivere da solo, perché ai tempi meno si andava a scuola e meglio era per chi teneva i poveri sotto scacco. Il popolo veniva immerso deliberatamente nell’ignoranza, perché l’ignorante si controllava meglio, si teneva più facilmente in uno stato di sudditanza. I “padroni” trovavano ampie complicità nella Chiesa, dove i preti erano tutt’altro che preti degli ultimi. Dagli scritti emerge la figura di don Pietrino, che alla famiglia Tinagli raccomandò di non far studiare i figli, perché il rischio a quel punto era che potessero imparare troppe cose e non aver più voglia di lavorare nei campi. Di fatto era l’ufficializzazione della prole come carne da lavoro.

Dai quaderni di Gino emerge qualcosa che somiglia al Feudalesimo. Non ci sono più vassalli, valvassori e valvassini ma la sudditanza c’è tutta. Anche per spostarsi in un paese vicino con il barroccio occorreva il permesso del fattore. E quando alcuni contadini riuscirono a diventare proprietari di una bicicletta, per il fattore tutto questo aveva un effetto destabilizzante, perché a quel punto non serviva più alcun permesso. Addirittura il matrimonio era gradito solo con persone dello stesso paese, se la promessa sposa o il promesso sposo erano forestieri era consuetudine doverlo dichiarare per tempo al fattore e attendere il nulla osta. Che arrivava, certo. Ma il fatto di dover attendere un cenno da quello che nei fatti era un vero e proprio padrone, era qualcosa di estremamente umiliante. E le umiliazioni erano così tante da diventare la normalità.

La vita scorreva fra casa e lavoro, al punto che poter avere qualche ora libera per assistere al passaggio di un treno era una vera e propria festa. E quando quelli che credevano di essere gli ultimi scoprivano che c’era qualcuno che stava peggio, non era mai motivo per tentare un riscatto. Anzi, era quasi un compiacimento. Accadeva quando, di tanto in tanto, passavano carrozzoni di zingari che per raggranellare un po’ di cibo facevano ballare in mezzo al cortile un orso spelacchiato e pieno di pulci.

Gino di fatto studia da solo, con materiale didattico che riesce a rimediare alla meglio. E le riflessioni che fa sono estremamente argute, considerando che all’epoca non c’erano giornali e tv per capire cosa stesse realmente accadendo. E quindi fa battere forte il cuore scoprire quegli scritti dove la guerra viene definita «come “il fischio del padrone” che manda al macello i figli dei lavoratori e, soprattutto, dei contadini». E non saranno le sole parole di questo tenore. C’è la parte che riguarda la nascita del fascismo agrario, che entra nella carne viva del fenomeno sociale della sopraffazione, dell’utilizzo dei terzultimi e dei penultimi contro gli ultimi, che con altri mezzi ritroviamo oggi in altri contesti di disagio. Mi sono soffermato più volte sul passaggio dove Tinagli racconta come quelli «seppero tirare a suo fianco anche una parte di popolo che aveva sofferto la guerra. Destò grande amarezza vedere persone da oggi a domani vestite di nero con pistola, pugnale e un pezzo di legno fra le mani. Quello che successe fu che una parte di poveracci come belve saltarono addosso a massacrare gli altri poveri, facendo l’interesse dei signori».

Questo e altri passaggi del libro rappresentano pezzi di storia locale rivisti con gli occhi di un uomo che non accetta quei soprusi. C’è la vicenda della prima vittima dello squadrismo fascista a Piombino, il giovane anarchico Landino Landi. Ci sono le brutture di pestaggi, di olio di ricino fatto ingurgitare con la forza, ci sono gli orrori di un’epoca che viene vissuta da troppi come se fosse fantasia, al punto che oggi l’ignoranza porta troppe persone a pensare che se il 25 aprile del 1945 avessero vinto i fascisti in fondo sarebbe cambiato poco. Coglioneria pura, con la quale oggi facciamo i conti in un contesto diverso da quello in cui si trovò a vivere Tinagli. Che racconta bene come nel dopoguerra, a fronte dell’eroismo di chi aveva sofferto le persecuzioni fasciste e aveva combattuto nelle bande partigiane, c’è la vigliaccheria dei padroni, nostalgici del fascismo, pronti a far finta di collaborare con i lavoratori ma altrettanto pronti a tradire.

C’è poi la parte della rinascita dopo il secondo conflitto mondiale, con il fascismo finalmente alle spalle e la ritrovata libertà. C’è l’uomo di campagna che diventa operaio, nel caso di Gino “aggancino”, quello che assicurava i carichi alle gru dentro la fabbrica. C’è tutta la storia delle lotte dei lavoratori nel dopoguerra, la tormentata stagione degli scioperi, l’aspro confronto con le direzioni di fabbrica. C’è il dramma dei 650 licenziamenti alla Magona. E ci sono le bastonature della polizia, le cariche contro i manifestanti, gli arresti e le discriminazioni. La mia famiglia, per via dell’opera da sindacalista di mio zio, Rolando Tamburini, successivamente sindaco di Piombino e parlamentare del Pci, fu bandita dalla possibilità di avere un lavoro. Mio zio licenziato, sua mamma, mio babbo e la sorella cacciati di punto in bianco dalla casa avuta in affitto dall’Ilva e costretti alla coabitazione con parenti. Per anni mio padre ha dovuto accettare i peggiori lavori lontano da Piombino, perché quel cognome – e altri fra quelli dei promotori degli scioperi – erano “scomunicati”, non potevano avere un futuro. Io stesso ho vissuto un’infanzia scolastica con tutti i compagni di classe che si vantavano di avere i padri che lavoravano in fabbrica pensando un giorno di ereditarne il posto. Io no, sapevo che non avrei mai potuto varcare quei cancelli e ne ero felicissimo. A tutti ripetevo che piuttosto che accettare un lavoro da chi aveva discriminato la mia famiglia avrei preferito zappare la terra o vivere di elemosine. E quando in fabbrica ci sono entrato da giornalista confesso di essermi sentito profondamente a disagio.

Gino Tinagli non racconta questa storia ma ce ne fa rivivere tante altre che descrivono quel clima infame che veniva vissuto, negli anni cinquanta del secolo scorso, in un Paese che avrebbe dovuto essere libero, democratico e formalmente antifascista ma dove sopravvivevano sacche di fascismo negli ambienti padronali, purtroppo anche con qualche complicità della Chiesa. La raccolta di questi scritti, che si estendono anche agli anni della pensione, a un’evoluzione per fortuna migliore dei rapporti tra datori di lavoro e maestranze, è qualcosa di molto prezioso.

Questo libro di Fabio Demi – bravissimo cronista, con grande fiuto della notizia e con immensa capacità di analisi – è uno scrigno che ci riporta indietro umori e passioni del passato. È  una vera e propria macchina del tempo, utile per capire meglio le nostre origini e anche per far tesoro delle lezioni di uomini come Tinagli e tanti altri che non si sono arresi alla barbarie della sopraffazione dei ricchi verso chi non aveva niente se non la capacità di poter lavorare. La lettura di questa pagine è un grande arricchimento morale e di conoscenza. Fabio Demi ha avuto una grande intuizione nel realizzare questo libro ma il grazie più sentito va rivolto a Gino Tinagli, per questi preziosi quaderni che ci regalano riflessioni mai banali. E anche per l’impegno che lui e tanti come lui hanno saputo contrapporre alla sopraffazione. Evitare di tornare indietro è qualcosa che dobbiamo a noi stessi ma anche a Gino e a tutti quelli che ci hanno accompagnato fin qui.

Fabio Demi, giornalista professionista in pensione, ha lavorato per più di quarant’anni al giornale “Il Tirreno”. Laureato con lode in storia all’Università di Pisa, cultore della materia in comunicazione giornalistica presso il dipartimento di Civiltà e Forme del Sapere dell’ateneo pisano, è autore delle seguenti pubblicazioni: L’Accademia Navale di Livorno. Storia e attualità, Primula Multimedia, Pisa 1997; 140 anni della nostra storia, 1877-2017, Il Tirreno, Livorno 2017; Diario di un’infamia. Le leggi, le vite violate, il ricordo, Pisa University Press, Pisa 2018; Prove di futuro. L’informatica italiana dalle origini al domani, Pisa University Press, Pisa 2019;  Lamberto Piovanelli – Una vita all’attacco, Pacini Editore e Elledibook, Pisa 2022; Aldo Orsini – La mia voce, Goalbook Edizioni, Pisa 2023.

Fabio Demi
Quaderni proletari
Da Bolgheri a Piombino – Vita quotidiana e lotte sociali del 900
nelle memoria di Gino Tinagli poeta contadino e operaio
Il Foglio Letterario Edizioni – Euro 14 – Pag. 170

 

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