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Lo Zibaldone

Per un cristianesimo senza religione

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di Francesco Roat

Il saggio dello studioso italo-canadese Bruno Mori (intitolato provocatoriamente: Per un cristianesimo senza religione), come avverte l’autore nella sua nota introduttiva, è innanzitutto rivolto a: “quei cristiani che, come me, si agitano e manifestano insofferenza nella gabbia della loro religione”. Ma io credo possa risultare interessante anche per chi si dichiari ateo o agnostico; se solo intenda rivolgere uno sguardo ‒ disincantato sì ma privo di pregiudizi ‒ all’innovativo ed anticonformistico movimento spirituale (detto anche “la Via”) inaugurato da Gesù di Nazaret. Movimento destinato però a trasformarsi, con l’andar del tempo e pure grazie alle deliberazioni conciliari dei secoli IV – V, in una religione mitologica, dogmatica, autoritaria e repressiva.

Mori prende dunque ad analizzare quelli che rappresentano dei miti basilari ‒ per quanto, a suo avviso, non più credibili e quindi inaccettabili ‒, intorno ai quali: “fu costruita tutta la struttura giuridica, teologica e culturale della religione cristiana nata dalla pace costantiniana”. La Chiesa di Roma, infatti, basandosi su di essi imporrà ben presto ai suoi fedeli, con le buone o con le cattive, l’adesione a tutta una serie di credenze ritenute essenziali e obbligatorie, solo recentemente messe in discussione o rifiutate da sempre più numerosi credenti, presbiteri e perfino teologi.

Il primo mito preso qui in considerazione è quello del peccato originale, presupposto da sant’Agostino, il quale, considerando grave e contaminante la disobbedienza di Adamo ed Eva, ne dedusse: “che la rivolta della prima coppia umana ebbe conseguenze nefaste per tutta la loro discendenza”. Ed effetti negativi sulle future generazioni di cristiani questa credenza li produsse davvero, ingenerando deleteri sensi di colpa ed autosvalutazioni. Dall’eretico Mori viene quindi analizzato un ulteriore mito: quello “inquietante” della redenzione (attraverso la sofferenza) da tale peccato primordiale ad opera di Gesù Cristo, morto in croce giusto perché il suo sacrificio avrebbe costituito un vero e proprio “gesto espiatorio” al fine di cancellare agli occhi d’un Dio rancoroso tutte quante le trasgressioni commesse dall’umanità intera.

Un ulteriore elemento mitologico denunziato dall’autore è poi quello dell’incarnazione di Dio, divenuto dogma di fede con il primo Concilio di Nicea (325), che stabilì la divinizzazione di Gesù, considerato appunto Figlio unigenito del creatore ed equivalente perciò a Dio, alla pari delle altre due figure trinitarie: il Padre e lo Spirito Santo. Nel Terzo millennio però (e per gli tutti gli increduli, anche assai prima): “molte persone non vedono più la necessità di tale fede per considerarsi seguaci del Nazareno” ‒ nota in modo veemente Mori ‒. “Si sentono anzi a disagio con la sua divinità e la considerano un ostacolo alla loro adesione, alla loro ammirazione e al loro affetto per lui”.

In effetti si può concordare senz’altro con quanto emerge dal saggio intorno a ciò che maggiormente riesce ad entusiasmare oggi chi ancora si considera cristiano: ovvero non tanto la divinità di Gesù, quanto semmai la sua eccezionale umanità e la sua condotta esistenziale destinata a produrre durevoli frutti spirituali per ben due millenni e oltre. Fu, la sua, una vita all’insegna dell’amore agapico, oblativo e caritatevole; da praticare non già/solo nei confronti degli amici ma pure dei nemici. Una vita assolutamente non-violenta e non-giudicante: disposto com’egli era al perdono fino a settanta volte sette persino nei confronti dei suoi carnefici e all’accoglienza indiscriminata. Una vita esemplare fatta di rispetto per l’altro (qualunque altro), di fraterna condivisione, di rifiuto verso ogni discriminazione. Una vita fiduciosa (nell’esistenza, in un divino visto quale padre che tutto e tutti sostiene, nutre, ama) e, perché no, all’insegna della gioia.

Inoltre possiamo far nostra l’idea dell’autore che nel 2022 i seguaci di Gesù: “Non hanno bisogno di credere che quest’uomo sia Dio, per pensare che sia un dono del cielo, per sentirsi attratti e affascinati dalla sua persona e dal suo insegnamento, per decidere di adottarlo come guida e maestro nella loro vita”. In parallelo pure la tradizionale idea di Dio quale signore onnisciente e padrone onnipotente dell’universo ‒ nonché giudice le cui sentenze di assoluzione (paradiso) o di condanna (inferno) risultano inappellabili ‒ è da ritenersi ormai rigettata come medioevale/obsoleta dalla maggioranza delle persone: quantomeno in Occidente.

Qual è o quale potrebbe essere allora il futuro del cristianesimo, se esso non vuole scomparire, divenendo sempre più insignificante? Mari ha una ricetta radicale: occorre superare la fase mitologico-teistica della propria religione, per aprirsi ad una: “spiritualità libera, creativa, senza credenze stravaganti, senza dottrine perenni e senza dogmi rivelati”. C’è da dubitare, tuttavia, che la Chiesa sia disponibile a simili metamorfosi.

Bruno Mori, Per un cristianesimo senza religione. Ritrovare la “Via” di Gesù di Nazaret, Gabrielli editori 2022, pp. 254, euro 18,50

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