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Lo Zibaldone

Orologi, memoria di Roma

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Nell’ultima opera di Elsa Morante, si legge come il tempo «che gli uomini tentano di domare con gli orologi, fino a renderlo un automa» possieda una natura imprevedibile e multiforme: altrettanto imprevedibile è scoprire un foro vuoto sulla facciata di una chiesa romana dal nome identico al titolo del romanzo appena citato, Aracoeli.

Ci fu un tempo in cui le torri a Roma erano trecento, forse di più e comunque così numerose da apparire – agli occhi di Mastro Gregorio – come spighe di grano. Il Medioevo romano non vide tuttavia un’estesa fioritura di orologi sulle torri come avvenne in Europa, da Chartres a Canterbury, ma anche in Italia con Chioggia e il fascino del suo esemplare segnalato dal 1386. Tuttavia nel 1412 finalmente la Città Eterna si dotò, sulla facciata di Santa Maria in Aracoeli, di un orologio, orgogliosamente soprannominato “del popolo romano” … e pazienza se le qualificate maestranze (dal fiorentino esperto di ingranaggi al milanese che collocò la campana pro horis pulsandis) molto romane non erano! Con il tempo infatti il connubio tra Roma e gli orologi si è fatto sempre più stretto: Maria Cristina Martini, da autrice della fortunata serie “Madonnelle” di MMC Edizioni sulle edicole sacre per le vie dell’Urbe (senza dimenticare le fontanelle e le altre intense testimonianze di vita e tradizione romana di cui pure ha scritto), spiega apertamente come non siano gli orologi meccanici da parete l’aspetto più caratteristico della Capitale; va però rilevata la frequenza con la quale a Roma “da parete” si identifica con “da monumento”. Quadranti e lancette trovano luoghi d’elezione non solo sulle chiese (il foro vuoto a cui prima s’accennava … nella Roma oggi immobilizzata nel traffico un tempo anche gli orologi godevano di una loro mobilità, quello dell’Aracoeli fu spostato sulla Torre del Campidoglio e lo vediamo sulla copertina de Gli orologi di Roma) ma su edifici monumentali d’ogni tipo, dal Quirinale a Castel Sant’Angelo, dal Museo Nazionale Etrusco a tanti altri luoghi interessanti che il limitato spazio di un articolo non consente di approfondire.

Il Palazzo del Quirinale fu il primo a essere equipaggiato con un orologio dotato di “funzionamento alla francese” anche se il mantenimento del quadrante a sei ore portò non poca confusione: la suggestione delle storie romane sulla misurazione del tempo passa anche per aspetti tecnici che il volume (naturalmente a grandi linee … il difficile mestiere dell’orologiaio lasciamolo alle prestigiose dinastie citate nel libro, dagli Hausmann ai Bedetti ai Raggi) spiega, negli aspetti principali, con chiarezza e riuscito intento divulgativo.

Castel Sant’Angelo sarà pure un «luogo celeberrimo sul quale non siamo abituati a pensare alla presenza di orologi» ma ne ospitò addirittura tre! Non li possiamo più ammirare – furono smantellati nel 1934 – mentre al Museo Etrusco di Villa Giulia ci dovremo incamminare dal cortile in direzione dello splendido Ninfeo e, alzando gli occhi al cielo, identificare il campanile a vela con l’orologio. Originale? No, purtroppo il meccanismo versava in pessime condizioni senza possibilità alcuna di restauro e così nel 2019 si è provveduto a installare un sistema all’avanguardia tecnologica con precisione legata all’orologio atomico di Francoforte; Valentino Nizzo, direttore del museo, ha sottolineato come un luogo «custode della memoria e del tempo» non potesse essere penalizzato da un orologio guasto. Giuste parole: la storia di Roma scorre da millenni, tutelarne gli orologi significa custodire la misura e la memoria del tempo, anche in questi giorni difficili del tempo sospeso.

 

Maria Cristina Martini

Gli orologi di Roma

MMC Edizioni, 2020

pp.112, Euro 32,00

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