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Lo Zibaldone

Non ti manchi mai la gioia

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di Francesco Roat

 

A tutta prima sembra venato di un cupo pessimismo l’ultimo saggio di Vito Mancuso ‒ quantunque il titolo sia all’insegna della gioia ‒, ma approfondendone la lettura esso appare semplicemente realistico nel descrivere con estrema lucidità e rigore analitico la situazione esistenziale in cui un po’ tutti ci sentiamo oggi intrappolati. In primo luogo il nostro filosofo sostiene giusto che: “siamo socialmente in trappola” per tutta una serie di motivi: la possibilità che gli attuali conflitti tra le superpotenze conducano ad una guerra nucleare, l’emergenza climatica sempre più grave, lo scollamento fra le generazioni, il rischio di un pericolosissimo abuso delle tecnologie: dall’ingegneria genetica all’intelligenza artificiale, la minaccia di nuove pandemie, quella dei rigurgiti terroristici e, non da ultimo, un’indigenza sempre più diffusa ovunque che, fra l’altro, sospinge milioni di disgraziati ad emigrare, con tutti i problemi e tensioni che ciò comporta.

Comunque il libro in oggetto non parla solo delle trappole sociali/collettive, ma si sofferma su quella soggettiva/individuale che sta forse alla base di tutte quante le altre. È la trappola che Mancuso chiama: “la voracità dell’io”, ossia la fame/brama insaziabile di avere, possedere, ottenere sempre di più. Voracità che se ne infischia degli altri, non tiene conto del bene comune, finendo col sostenere e perpetuare un’economia gretta, grazie alla quale il divario fra poveri e ricchi aumenta sempre più a favore di questi ultimi. L’egocentrismo sfrenato costituisce quindi per l’autore il nostro maggior problema, essendo alla radice di tutti i mali di cui soffriamo.

Philautia lo chiamavano gli antichi filosofi, o eccessivo amor di sé, che secondo Mancuso genera tutta una serie di modi di pensare e di porsi sbagliati, giacché, appunto: “Il primo pensiero sbagliato, fondamento di tutti gli altri pensieri sbagliati, consiste nel concepire tutto a partire da sé e in funzione di sé”. Il secondo pensiero sbagliato, sarebbe invece costituito dalla ricerca di successo, visibilità, dipendenza dalla opinione/approvazione altrui. Terzo fondamentale atteggiamento deleterio: una bulimia fatta di innumerevoli desideri da soddisfare ma che non ci nutrono davvero. Che fare, allora? Innanzitutto pensare a come uscire dall’intrappolamento generale, ovvero: “A come debellare l’ansia, l’insoddisfazione cronica, il malumore persistente, la mancanza di sorriso”. E questo tramite un rimedio, suggerisce l’autore, che fu denominato dai greci filosofia: amore per la saggezza.

Per un sapere non meramente concettuale, astratto, teorico; inteso piuttosto come la sapienza di riuscire a condursi al meglio lungo la breve o lunga parabola della vita. Filosofia come esercizio spirituale per una condotta ottimale, quindi. Una condotta che tenga conto dell’interdipendenza di tutti quanti gli esseri e le cose, della necessità perciò di renderci conto come non possa realizzarsi un ego rivolto solo a se stesso, ma che occorre aprirsi e relazionarsi altruisticamente, solidaristicamente, generosamente. Attraverso accoglienza, fiducia nella vita, consapevolezza, cura e rispetto dell’ambiente. E, senza alcun dubbio, tramite l’amore: quell’agape ‒ fatta propria dal cristianesimo autentico ‒ che è slancio amoroso ed oblativo nei confronti del prossimo.

Ma l’autore, ritenendo che le nostre trappole abbiano origine/radice dentro di noi, è dell’opinione che pure la via/strategia per sfuggire ad esse si trovi nella nostra interiorità: la si chiami tradizionalmente anima o intelletto. E perciò se: “Io sono la mia trappola, io sono il mio liberatore”. Bisogna tuttavia aver presente ‒ dice bene Mancuso ‒ che: “il lavoro interiore sulla mente si compie soprattutto mediante una quotidiana disciplina di attenzione e silenzio detta comunemente meditazione”. Tale ascesi ‒ nel senso etimologico del termine askesis da cui il termine deriva, ossia esercizio ‒ non è però un’operazione razionale; non dobbiamo riflettere su qualcosa, giacché si tratta di starsene in una quiete accogliente a casa propria, liberandoci dell’inessenziale. Seneca, nella sua lettera a Lucilio, spiega a chiare lettere come farlo:

Ti prego, carissimo, fa’ la sola cosa che può farti davvero felice: calpesta, distruggi, i beni esteriori e luccicanti che ti promettono o che tu speri di ottenere da altri, e aspira al vero bene e godi del tuo. Ma che cos’è questo tuo? Sei tu stesso, è la parte migliore di te”.

Vito Mancuso, Non ti manchi mai la gioia. Breve itinerario di meditazione, Garzanti 2023, pp. 125, euro 16,00

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