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Nell’anniversario della morte di Ungaretti, una riflessione sull’ermetismo poetico

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di Mario Di Nicola

Ecco le ultime pubblicazioni che hanno celebrato l’evento

Poesia. L’anniversario dei cinquanta anni dalla morte di Giuseppe Ungaretti (1 giugno 1970), è la spinta della curiosità da “lettore”, nella scoperta del lavoro di questo artista, poeta, traduttore e studioso di testi. La caratura del personaggio è tale, da permettere la possibilità di analizzare il suo operato, per una riflessione più accentuata sulle nuove “forme condizionanti” la corrente “letteraria”, o meglio del pensiero poetico Ungarettiano.
La critica, sulla nascita della definizione di poesia ermetica, fa risalire il tutto nel processo post D’Annunziano, dalle esperienze futuriste e crepuscolari, dalla “parola” di Baudelaire e dei simbolisti francesi. Ma a ben guardare questa affermazione, si palesa immediatamente, che non è in linea con la reale esperienza che poi diverrà : nel decadentismo, fino ad arrivare ad Ungaretti, il vivere quotidiano dimena verso la “perdenza” della condizione sociale o umana sottostante alla materialità del vivere reale, del “fatto” descritto come rivelatore non corruttibile, che produce riflessioni, personaggi o protagonisti che secernano una dimestichezza di vivere “quasi dolorante”, qualunque sia il suo stato.
L’ermetismo va oltre, indaga la “stazionarietà” del vivere una condizione, nella rappresentazione figurativa del violentarsi nel descrivere ciò che è “cementato” in un “momento puro”, da non collegare a nulla o a ulteriori approfondimenti, dove non vi siano interlocutori se non se stessi. Il cercare l’essenzialità nella sola parola, trasfigura l’ardito compito di svelarsi al mondo con piena lucidità d’intelletto: l’ermetico non è oscuro, ma è portavoce dell’animo nudo, del selvaggio e sintetico
viaggio dell’uomo. Una battaglia “moderna” all’eloquenza del narrare, alla sublimazione del “vate” poetico. Nell’Ungaretti e nel suo Porto sepolto (prima raccolta inficiata dai ricordi di guerra), assistiamo all’l’incontro dell’anima verso l’Io interiore, una linea di meditazione che va dall’“ombra” umana, a quella del voler vivere attraverso sfumature, simboli, immagini, stati di fatto “gelati” nel momento “sentito, avvertito”. L’estrema volontà di raffigurazione di tutti gli stati d’animo, senza paura di nascondersi nei meandri dell’esistenza.
Nell’ermetismo, la brevità della descrizione, l’astrattezza dei paragoni, l’emblematica di una parola quasi messa fuori posto opportunamente, rappresentano lo specchio a cui bisogna riflettersi, per traghettare l’“oscuro” poetico”, nella “luminosità” di una sola parola come madre di una storia intera, il titolo di una poesia come la poesia stessa (Ungaretti dava grande importanza ai titoli delle liriche). Anche l’uso “improprio” dei vocaboli a dispetto del significato stesso, denota la volontà di disegnare con sbavature allegoriche, l’esterno. La poesia diviene realtà circostante: con sole due righe, trasforma un foglio bianco in un mondo pieno. La raffigurazione di paesaggi, la descrizione di personaggi ed eventi pervasi dalla sensazione interiore, diventano percorsi obbligati alla comprensione della condizione sociale raffigurata: l’ermetismo diviene realtà.
Si ha la descrizione di un attimo che riflette la complessità di un’intera esistenza. La sostanziale interpretazione del dolore è caratterizzata dalla sola descrizione di eventi, nel breve tratto dell’essenza. Non vi è voglia di trasportare il lettore verso una condizione onirica, ma solo la volontà di esprimersi (quasi per naturalezza e di conseguenza pura) nella brevità del messaggio dato. La caparbietà di voler descrivere l’ascesa dell’istante vissuto, la bruttezza o la bellezza del “secondo” avvertito, il tempo lasciato nelle mani di poche parole, intervallato da spazi bianchi delle strofe “non scritte”, la poesia formata da poche righe, regole, è la poesia dell’Ungaretti. Il poeta non soffre perché inadeguato a ciò che lo circonda, “è” diverso e ne prende atto, lo esprime interiormente, “ a volte si nasconde” con l’uso di vocaboli (scelti, possenti, caduchi, dissacranti, raffigurativi, diversi), ma non necessariamente soffre il “male” della diversità “sociale” intellettuale.
Ungaretti, inteso come “puro” e come “ermetico”. La lirica pura, è il riversare in pochi istanti e termini, un mondo. E’ quasi un dono intrinseco alla natura dello scrivente, la voglia di spogliarsi delle lusinghe delle parole, la capacità della ricerca della purezza dei termini e del vissuto, o meglio, di chi è alla ricerca dell’essenza del vivere. Si fa poesia per se stessi, senza tener conto della società, che più da capire, diventa il banchetto dove mangiare e far mangiare il proprio io ermetico.
A celebrazione dell’anniversario, rimarchiamo l’uscita (giugno 2020) del libro “Ungarettiana” per opera dell’Associazione Internazionale dei Critici Letterari, contenente una raccolta di saggi a descrizione della figura poetica e letteraria culturale del poeta, scritti da associati provenienti da diverse città italiane e da diverse nazioni. Neria De Giovanni (presidente dell’A.I.C.L.) ha curato e scritta la prefazione dell’opera, contenente tra l’altro anche una serie di poesie ungarettiane, tradotte in lingua spagnola. Curiosità e lode inoltre, per un contenuto digitale che ha accompagnato l’uscita della pubblicazione, che riguarda un video girato nell’occasione dell’anniversario con il contributo di
dieci relatori già “firmatari” dei saggi nel libro.
Ulteriore appuntamento per celebrare l’anniversario della scomparsa è stato il contributo della RAI, con la presentazione su RAI Play, di un’antologia di 19 contenuti presenti nelle sue teche, che raccontano il poeta con interviste, spaccati di vita, ricordi. Un lavoro introdotto dal poeta Davide Rondoni e l’attrice Iaia Forte. Da vedere.

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