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Mo Yan e la mutevole realtà cinese

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Autore di romanzi famosi come “Grande seno fianchi larghi” e “Sorgo Rosso”. Il recente “Le rane” tocca un tema da sempre delicato in Cina, quello delle politiche demografiche.

Nato nello Shandong nel 1955 a Gaomi, dove sono ambientati gran parte dei suoi romanzi, Nobel per la letteratura 2012, Mo yan, “colui che non parla”, pseudonimo di Guan Moye, è uno degli scrittori cinesi più importanti.

Inizia a interessarsi di letteratura intorno ai venti anni quando entra nell’esercito. Al contrario del suo pseudonimo, quando era piccolo aveva tanta voglia di parlare. Durante la “rivoluzione culturale”, questo atteggiamento mise in difficoltà la sua famiglia; a quel tempo una parola sbagliata poteva mettere in serio pericolo e stravolgere una vita. Riesce a laurearsi sotto il militare e a guadagnarsi un posto di insegnante presso l’accademia dell’esercito.

Lasciata la vita militare, ha già alle spalle romanzi famosi come “Grande seno fianchi larghi” e “Sorgo Rosso”, da cui è tratto il film omonimo diretto dal regista Zhang Yimou. Uno dei suoi ultimi lavori “Le rane”, la cui stesura dura 10 anni, tocca un tema da sempre delicato in Cina, quello delle politiche demografiche. Pubblicato nel 2009 il titolo è un gioco di parole tra due caratteri cinesi che si scrivono diversamente ma che hanno la stessa pronuncia, wa, anche se toni e significato differenti: rane, bambini. Con questo romanzo Mo Yan ripercorre il difficile rapporto della Cina con le nascite. Tutti i bambini della regione sono venuti al mondo grazie all’intervento dell’unica levatrice che diventerà molto esperta anche nel farli morire, perché il partito, preoccupato per l’esplosione demografica, deciderà per la politica del figlio unico, intorno alla metà degli anni settanta. Agghiacciante si rivela la penna di Mo yan nel descrivere lo stato d’animo della giovane levatrice che si ritrova di notte in una palude in cui, sentendo il gracidare delle rane assomigliare al grido dei feti mai nati, crederà di impazzire una volta che negli anni novanta il partito  allenterà la stretta sulle nascite, facendo crollare tutti gli ideali che avevano messo a tacere la sua coscienza di servitrice dello stato.

“Sorgo rosso”, da cui il regista Zhang Yimou trasse il film, Orso d’oro al festival di Berlino nel 1988, sullo sfondo di sconfinati campi appunto di sorgo rosso, ripercorre gli anni più duri pre e post Repubblica Popolare attraverso la vita avventurosa del bandito Yu Zhan ao e della sua famiglia descrivendo con saggezza reale un intero popolo. Omaggio alla propria madre e alle proprie radici, censurato in Cina per la crudezza delle testimonianze e la descrizione fedele della mutevole realtà cinese, la sua opera è intrisa di “realismo allucinatorio che fonde racconti popolari, storia e contemporaneità.” Al contrario di molti suoi coetanei intellettuali forzatamente esuli come Liu Xiaobo,  Nobel per la pace 2010, e Gao Xingjiang, Nobel per la letteratura nel 2000, vive in Cina accusato di essersi piegato al governo, o meglio di essere uno del sistema come dice Ai Weiwei. Declina inviti presso fiere in cui, presenti dissidenti o attivisti, viene ritratto in silenzio in sostegno per la scarcerazione di Liu Xiaobo che sta scontando 11 anni di carcere. La sua letteratura ha il dono di raccontare gli eccessi senza criticare una società che si sta trasformando in maniera esponenziale e poco a misura di uomo.

(Cristina Cipolla)

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