Lo Zibaldone
Mia madre era… Donne e famiglie del Novecento
Mia madre era… è un pacco dono colmo di buoni sentimenti, di affetti primordiali, di atmosfere e fragranze copiosamente asperse in uno scenario drammaticamente contrastante e avverso. E’ un libro di evidente attualità, dallo stile letterario uniforme e fluido, fedele alle intenzioni e al contesto che lo ispira; un testo educativo da diffondere senza indugi nelle nostre scuole superiori. E’ un inno alla vita e alla pace contro ogni odio e discriminazione. Un viaggio alle origini della Grande Madre, una epopea rigenerante e avventurosa negli spazi del tempo, negli abissi di una coscienza mai abbastanza esplorata, alla ricerca ostinata e vivificante di una identità frettolosamente rimossa o smarrita, di radici e àncore che sostengano ad interpretare un presente inquietante e oscuro. Paradigma efficace e autentico di un come eravamo ambientato agli albori del secolo scorso, racchiude una rara collezione di scritti che declinano al femminile le tante storie familiari, ordinarie ed esemplari, tenere e drammatiche, approdate lungo la deriva sciagurata del ventennio fascista per lambire infine, in un clima di nuova euforia, la rinascita economica e spirituale del secondo dopoguerra. Episodi di guerra e di conflitti personali che riproducono fedelmente un passato remoto ancora e per sempre presente. Dichiarazioni spontanee, nutrite di riconoscenza e del rispetto che si deve alle protagoniste di quel periodo, ricordi laceranti e appassionati di un vissuto collettivo entrato a far parte del patrimonio culturale di ognuno di noi. Al di là del sentimento di affetto e di indulgenza mista a sensi di colpa che traspare nella commemorazione di madri incomprese che non si sentivano amate, quelle storie sono soprattutto espressione di relazioni persistenti. Rivelano profondità di ascolto, un’ attenzione viscerale, e possono costituire ‘un sano alimento per il presente’. E’ il ritratto di figure familiari rivisitate nel tempo, non trasfigurate, riscoperte e valorizzate, da parte di figlie che hanno condiviso quel periodo doloroso e acquisito piena considerazione degli accadimenti nella raggiunta maturità. ‘Mamma mi è cresciuta nel cuore dopo che se n’è andata’. ‘…salvo scoprire di somigliarle in vecchiaia’. E’ così che quegli eventi, nella memoria delle superstiti, non appaiono mai ridondanti né artificiosi, conservano una inebriante freschezza e assumono, nel contesto storico oltreché personale, una ancor più adeguata e puntuale definizione. L’affresco di un paese disorientato e allo sbando, messo in ginocchio da due conflitti devastanti, nobilitato dal contributo di donne sorprendenti e anticonformiste, autorevoli e concrete, umili e riservate, inguaribilmente romantiche e soprattutto coraggiose. Donne ignare e spregiudicate che infrangevano le regole dominanti e precorrevano i tempi. Caleidoscopio disincantato, necessario e vigile di un’Italia taciuta, spesso imbarazzante e scomoda, sacrificata alla ragion di stato e per lo più negata, il libro è frutto di una ricerca diligente e rigorosa che le due curatrici, Rita Laganà e Terry Olivi, hanno compiuto a tutto campo, in ogni direzione. Senza disdegnare le confidenze porta a porta, hanno approntato faticosamente una raccolta di documenti, annotazioni, testimonianze autografe, confessioni personali e private. Un lavoro smisurato durato cinque anni, scrupoloso e paziente, un insieme consistente di informazioni e dati sostenuti da una attenta ricostruzione storica e bibliografica. Rappresenta in sintesi un’eredità irrinunciabile e preziosa dall’inestimabile valore antropologico oltreché storico che la nostra generazione ha l’obbligo di preservare e quelle successive il privilegio di apprendere e perpetuare. Una sorta di libro bianco, di dossier monografico che delinea una figura inedita e incisiva di donna emancipata, spesso raffinata e colta, esile combattente senza tregua, intraprendente e risoluta, inasprita da prevaricazioni di genere e di ogni specie. Siamo agli inizi del secolo scorso. Lo sviluppo industriale del nord era già avviato da alcuni anni, favorito dai dazi protezionistici, con il contributo determinante di investimenti stranieri, e orientato dalle grandi banche; su tutte la Banca Commerciale Italiana, che scontava una consistente partecipazione di capitale tedesco. Il tenore della classe operaia era di molto inferiore a quello della media europea e provocherà nuove e più efficaci forme di lotta da parte del proletariato e scioperi sempre più numerosi ed organizzati. La condizione dei contadini nei latifondi del sud era di sfruttamento estremo cui erano sottoposti dai proprietari che incameravano anche i tre quarti del raccolto dei braccianti. Il negoziatore Giolitti, subentrato a Zanardelli alla guida del paese per la seconda volta, forte di alcune concessioni e riforme liberali avallate dall’ala moderata dei socialisti, riuscì dapprima a placare il malcontento, ma non ad evitare lo sciopero generale del 1904 né la crisi economica del 1908. E sul finire dell’anno il terremoto più drammatico di sempre, quello di Messina, con più di 80.000 vittime. Il nostro meridione manteneva un carattere agrario semifeudale, i contadini fuggivano dalle campagne trovando misero rifugio nelle città o emigrando oltreoceano inseguendo il sogno americano. La concentrazione della produzione accelerava lo sviluppo dei monopoli legittimando la politica coloniale di espansione nel bacino del Mediterraneo. Il paese era al collasso. La caduta di Giolitti nel 1914 decretò la fine del liberalismo borghese e un nuovo vento di reazione provocò le insurrezioni della ‘settimana rossa’. Una guerra nefasta di trincea era ormai alle porte. Sarà una carneficina di giovani vite. La vittoria sull’impero austro-ungarico impose un prezzo altissimo, fu più amara di una grave sconfitta lasciando più di un milione di morti sul terreno e un enorme, gravoso debito pubblico. La violenza dei fasci di combattimento e la nascita del movimento fascista ebbero la meglio sulla dialettica parlamentare e fecero presa sul malcontento popolare, favoriti dall’ instabilità politica e dall’atteggiamento esitante, se non accondiscendente, delle forze dell’ordine e della magistratura. Una se pur fragile democrazia cedeva il passo ad una dittatura annunciata, ad una successiva guerra rovinosa e all’occupazione nazista. Arrivò poi anche il 4 giugno del 1944 magistralmente evocato in alcuni capitoli del libro, e poi la fine della guerra di liberazione e dell’occupazione tedesca. Insieme alla riedificazione del paese dalle macerie, si doveva ricostituire l’identità di una nazione e avviare quindi la rinascita degli anni ’50. Le testimonianze e le riflessioni raccolte da Rita Laganà e Terry Olivi provengono in gran parte dal sud e dal centro Italia. Il libro contiene anche memorie vibranti di madri quasi centenarie o da poco scomparse che lucidamente rivivono una stagione tormentata eppure felice, perché, anche nella sofferenza, la giovinezza è illuminata da propositi e speranze e il sorriso può essere di conforto. E poi, ’è nel combattere tutti i giorni che si apprezza il profumo della vittoria’. La narrazione è interposta da alcune liriche dense di analogie e anastrofi, di metafore e sinestesie che esplodono in versi liberi e struggenti di grande effetto, non imbrigliati da strutture metriche formali. La chiusura dell’opera è dedicata alle donne e alle famiglie dell’Agro pontino, a quella diaspora verso una terra promessa da bonificare che la politica autarchica del duce aveva riservato loro. Dalle cooperative di moderna concezione in Friuli alla malaria e agli stenti di un amaro risveglio in una provincia estranea, piena di amare sorprese e di pregiudizi. Miseria, metà del raccolto ceduto al Consorzio e il fascismo che ‘si impossessò anche della vita privata e dei momenti d’intimità familiare’. E ancora: l’esodo giuliano-dalmata da terre italiche tanto amate: la fuga dall’Istria e da Pola, dalla Dalmazia, per sfuggire ai massacri delle foibe, al furore dei partigiani e delle truppe di Tito. Quei racconti non provengono da osservatori privilegiati, non esprimono punti di vista schierati o correnti di pensiero. Non hanno l’esclusiva del senso di appartenenza , non esibiscono l’ostentazione becera e faziosa di una Storia contesa e rivendicata. Non riverberano neanche la solennità o la retorica della Storia ufficiale. Sono pagine di tenera bellezza, elegia allo stato puro, perle di saggezza e di amore incondizionato. Un libro che ammonisce e rasserena. Donne vere, semplici, donne lasciate sole, mortificate, colme di dignità e autonomia di pensiero, discriminate eppure capaci della forza del dissenso e nutrite di profonda autostima. Ci sono donne che nel corso dei secoli sottomettono i potenti e fondano dinastie e destini, e altre, come quelle descritte, che senza presunzione, con più moralità e meno armi, da gregarie assurgono al ruolo di protagoniste. Ogni giorno e in silenzio affrontano qualsiasi condizione, artefici di decisioni indifferibili ed estreme che non prevedono scorciatoie e non consentono deleghe. Nel dolore più inconsolato, spesso nella fede; per presentimento, per necessità contingente, per senso di responsabilità e sacrificio. Per eredità ancestrale. E’ un’Italia divisa in due, dall’animo contadino, che nelle difficoltà assapora e contempla la felicità delle piccole cose, dell’onestà come valore premiante, dei sentimenti più nobili, del fare il bene e donare a chi ha anche meno, senza contropartita. ’Avere e seguire le regole’. ’Lavorare e fare del bene’. La condizione femminile della prima metà del secolo è da sottosviluppo. La donna doveva lottare di più per avere meno diritti. Il dominio dei sentimenti era presupposto inderogabile per provare a sopravvivere. Mariti e padri padroni, mariti che ritornano provati nel fisico, cambiati dalla guerra, accuditi e onorati comunque. Mogli succubi segregate tra fornelli e prole in sovrannumero, donne che si rimboccano le maniche e diventavano imprenditrici. Una donna reale, che sostiene e stabilizza l’economia familiare senza lasciarsi travolgere da un presente gramo e spesso ostile, a protezione dei figli, per avviarli ad un domani più sereno con residuale fiducia. In un’Italia flagellata dalla fame e dal pregiudizio, sono comunque donne di frontiera, quelle che appartengono a zone di confine come quello nordorientale, e quelle che devono affrontare le barriere culturali di un meridione retrivo ma anche di semplificazioni, luoghi comuni e schematismi mentali ampiamente diffusi nella società dell’epoca. Costretta nella morsa tra pregiudizio e libertà vigilata, la caparbietà femminile e la naturale predisposizione allo studio spesso non erano sufficienti, pur rivelandosi indispensabili per sottrarsi alla resistenza di un ambito familiare, oltreché sociale, sordo ed involuto. L’istruzione era riservata alle classi abbienti e anche le rampolle di buona famiglia dovevano sgomitare per non rimanerne escluse. Fanciulle che apprendevano l’arte della tessitura, del cucito, del ricamo fra le mura domestiche adibite a laboratorio e, scontrandosi con l’ottusità genitoriale e di nascosto, divoravano chilometri al giorno per frequentare le prime classi. ‘…e dopo le vacche da mungere’ e le galline da accudire, Peppina svolgeva i compiti ’fino a quando restava acceso il lume a petrolio’. Nonostante leggi restrittive e che avevano inasprito del 40% le tasse alle studentesse che proseguivano nel cammino scolastico, la scolarità femminile aumentò costantemente negli anni ’30. Questo scenario è certamente incompatibile con l’immagine edulcorata e mistica di certa iconografia mariana dell’epoca che fa il pari con quella convenzionale di fertile genitrice celebrata dalla medesima propaganda di regime. Donne che si innamoravano di slancio e difendevano ad ogni costo le loro scelte ardite ‘contro il buon senso popolare’, senza indietreggiare. Quelle donne, che appartenevano a famiglie numerose, sopperivano alle assenze per lutti e mariti distanti e distratti, assumevano su di sé più ruoli esclusivi che un destino infausto aveva loro disegnato senza rispettarne naturalmente l’ordine e le priorità. Bambine adottate, creature orfane divenute donne troppo in fretta, che interpretavano al contempo le funzioni di madre e padre insieme, senza trascurare quello naturalmente proprio di sorella. Le epidemie, le malattie, la carestia e la fame che colpiva tutti ma non allo stesso modo. Bambine che fanno i lavori dei grandi, mandate a fare la fila per il pane con in braccio il fratellino più piccolo, a prendere l’acqua sfidando le bombe. Famiglie umili e famiglie della piccola e media borghesia, di imprenditori, panettieri, proprietari terrieri, donne insegnanti ed educatrici, musiciste, impiegate: sono quelle più presenti nella raccolta. Ma anche famiglie benestanti e agiate di medici, ingegneri, alti funzionari dello Stato e incaricati d’affari. Donne artiste, attrici di fama. Famiglie aristocratiche. Vite da emozioni forti e non per tutti: frequentazioni importanti, lusso e ricevimenti, viaggi esotici, trasferimenti con i figli alla ricerca di mariti inviati in altri continenti per lavoro e pratiche sportive riservate ad élites. Poi, improvviso e ineluttabile, il dramma della guerra scoperchia le abitudini e infrange aspettative ed illusioni. Senza riguardi, senza distinzioni. I capitoli sull’occupazione nazista di Roma e Napoli, di notevole intensità e accuratezza, mettono i brividi! La storia imparata da bambini non sui libri di scuola ma dai racconti delle madri. Roma nel terrore dei rastrellamenti, oltre 50 bombardamenti. Gli stenti e il freddo, il cibo scarso, le interminabili file, le notti insonni, l’urlo delle sirene i rifugi antiaerei come trappole per topi. Gli attimi trepidanti che precedono la nascita della piccola Anna, nel settembre del ’43, mentre imperversano gli scontri tra San Paolo e via Ostiense, e il nobile gesto di uno sconosciuto, sono da libro Cuore. Veramente ‘una favola di guerra’. E il Natale speciale, finalmente di festa, per l’arrivo degli americani, è un miracolo del cielo. Anche a Napoli la situazione non è diversa: attese per il carbone, il contrabbando, la mancanza abituale di luce e gas, piccoli lavori per sopravvivere, famiglie intere sfollate. L’arrivo delle truppe anglo-americane segna la fine di un incubo e la crudeltà dei tedeschi è sostituita dal calore, dall’abbondanza di ogni tipo e dalla generosità che i nuovi occupanti portano con sé, salvo alcuni effetti collaterali… ‘Un delirio, una follia collettiva pervase Napoli’ e ‘nei quartieri spagnoli si aprirono le alcove…’ Gli anni ’50 ci consegnano una Roma ormai diversa, vivace, la dolce vita, la voglia di divertimento, di evasione, con le vie del centro piene di sfarzo, lo storico bar Cottini. L’Italia sogna ad occhi aperti la lambretta, la giardinetta, le vacanze estive negli stabilimenti esclusivi, al lido, magari all’hotel Des bains. Ma questa è un’altra storia, da prossima puntata…
Mia madre era… Donne e famiglie del Novecento
a cura di Rita Laganà e Terry Olivi
Prefazione di Elio Pecora
Postfazione di Franco Ferrarotti
Gattomerlino Editore, 2019
pp.340, Euro23,00
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