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Mettici la mano!

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di Bernardina Moriconi

Napoli, primavera del ’43. In uno scantinato adibito a improvvisato e malsicuro rifugio antiaereo si ritrovano a cercare riparo dalle bombe scagliate dalle forze alleate tre personaggi: un esponente delle forze dell’ordine, un travestito e una ragazzina in manette. I primi due sono ben noti a coloro che conoscono le imprese investigative del Commissario Luigi Alfredo Ricciardi della Regia Questura di Napoli: nella loro prorompente fisicità si riconosceranno infatti il brigadiere Raffaele Maione, fidato e prezioso collaboratore dello stesso Ricciardi, e il femminiello Bambinella, che funge da informatore di Maione, non per vil denaro ma per un verace senso di giustizia che si accompagna a una sua ruspante umanità. Il terzo personaggio è una ragazzina in manette che Maione deve assicurare alla legge per un non meglio specificato ed efferato crimine da lei commesso. Questa, in sintesi, la situazione di partenza della pièce Mettici la mano scritta da Maurizio de Giovanni, che appare sempre più efficacemente propenso a cimentarsi in diverse tipologie di scritture, e diretta da Alessandro D’Alatri che ha firmato anche la regia televisiva della premiatissima serie Rai su Ricciardi.

Dal rifugio domestico, dunque, cui ci ha costretto il lungo periodo pandemico, il pubblico si è riversato nel rifugio bellico ma fittizio della scena allestita da Toni Di Pace al Teatro Diana che con questo spettacolo, presentato in anteprima assoluta, ha inaugurato la stagione teatrale e brindato alla riapertura degli spazi scenici.

Chi è la ragazzina in manette che per il suo crimine suscita quasi un senso d’orrore in Maione e una sanguigna pietas in Bambinella anche per la tenera età della criminale? Di quale efferatezza si è macchiata? E quale la ragione di tanta rabbia in una giovane donna che sembrerebbe appena affacciatasi alla vita? E’ quello che Bambinella vuole conoscere, un po’ per la sua innata curiosità da capera, ma soprattutto perché sembra instauratosi un misterioso e prodigioso legame tra il susseguirsi sempre più vicino e distruttivo dei bombardamenti e le parole empie pronunciate dalla ragazzina in presenza di una statuetta di gesso della Madonnina che qualcuno si è premunito di salvare da qualche chiesa distrutta e di portare nel sottoscala a protezione di chi vi cerca rifugio dalle bombe. Alla statuetta della Vergine si rivolge, con l’empito trepidante ed eccessivo proprio del personaggio, il femminiello Bambinella, perché ci metta a la mano (da cui il titolo) a tirarli sani e salvi fuori di lì. E intanto, con la sue parole di saggezza popolare e materna, riesce a placare la rabbia della fanciulla in manette che racconta ai due sempre più esterrefatti e partecipi la truce e violenta storia della sua giovanissima esistenza. Bravi gli interpreti: due dei quali, Antonio Milo e Adriano Falivene rispettivamente nei ruoli di Maione e Bambinella, rivelano una sicurezza e padronanza dei loro personaggi avendo avuto già modo di misurarsi a lungo con essi nella fiction televisiva: solo un po’ di emozione da prima, emozione evidente anche nelle battute iniziali, e via via superata nel corso dello spettacolo, della giovanissima attrice Elisabetta Mirra che bene li affianca.

Maurizio de Giovanni con l’atto unico Mettici la mano si concede il gusto di uno spin-off trasportandoci inoltre, mediante una sorta di ampia prolessi, una decina d’anni dopo gli eventi narrati nell’ultimo romanzo dedicato al fascinoso e tormentato barone Luigi Alfredo. La cui mancanza si sente, e se anche i due personaggi ricciardiani in scena non lo nominano mai, l’invito che Bambinella rivolge a Maione ad essere umano, lui, nei confronti della ragazzina che ha arrestato, non potendo certo questa contare sulla eventuale comprensione e umanità dei superiori del brigadiere, ci fa percepire la scomparsa totale dalla scena della questura del Commissario Ricciardi, sempre invece così sensibile verso gli umili e gli ultimi di una città dove troppe volte, per dirla col poeta, la morte si sconta vivendo. E questo incontro fortuito tra il femminiello e il brigadiere, figure così felici e amate del ciclo narrativo ricciardiano, che avviene in un momento cruciale di una guerra ormai agli sgoccioli e la cui conclusione tanto bramata segnerà anche la fine di un’epoca, sembra davvero avere il sapore dolceamaro di un addio ai personaggi e a quella Napoli prebellica che de Giovanni ci ha raccontato e con cui ci ha incantato.

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