Lo Zibaldone
Messner, la montagna, il vuoto, la fenice
Tavole acquerellate invitano il lettore a ripercorrere, in una sintesi visiva, la vita avventurosa di Reinhold Messner, dall’infanzia in Val di Funes al progetto dei sei musei altoatesini sull’alpinismo, concluso recentemente. Durante l’infanzia vissuta con i fratelli e una sorella, sotto la guida della madre e del severo padre, Messner muove i primi passi sulla roccia. Nei ricordi del grande alpinista, il primo nella storia ad aver scalato le quattordici cime più alte del mondo, l’uomo che ha attraversato deserti e lande ghiacciate sulle orme dei primi esploratori, si intrecciano figure mitologiche paurose come il Krampus, una sorta di diavolo, durante la festa di San Nicolò, i draghi tibetani, le impronte dello yeti, la fenice che risorge dalla cenere, tutte rappresentazioni e metafore che utilizza per descrivere se stesso. Lo yeti, ritrovato impagliato nel monastero di Sosar, rappresenta il lato selvaggio dell’uomo nella fase di contrapposizione tra natura e civiltà; la fenice è simbolo della rinascita, perché quello che Messner insegue nella vita è la ricerca della felicità nell’essere sopravvissuto a pericoli estremi e alla morte. Viene messo in luce anche il suo lato sentimentale: paragona infatti una salita in montagna in solitaria all’essere innamorati. “Ci perdi la testa e quando sei a metà strada non puoi più tornare indietro”. Nel libro è narrata anche l’esperienza più dolorosa di Messner, la morte del fratello Gunther, il 29 giugno 1970 durante la scalata al Nanga Parbat.
Michele Petrucci
Messner, la montagna, il vuoto, la fenice
Coconino, 2017
pp. 82, Euro 17,00
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