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Lo Zibaldone

Meister Eckhart sempre più attuale

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di Francesco Roat

Meister Eckhart (c.1260 – c.1328) è oggi unanimemente considerato uno dei più grandi mistici cristiani. Del nome con cui venne chiamato spicca l’appellativo: quello di maestro. Infatti, oltre che apprezzato predicatore in vari monasteri, egli fu prima docente di teologia presso l’Università di Parigi ‒ presso cui tenne cattedra per ben due volte nella sua intensa vita di domenicano ‒, quindi a Colonia dove, purtroppo, nel 1326 venne aperto nei suoi confronti un processo per eresia che si concluse nel 1329, ad Avignone, con la condanna del Meister (morto comunque due mesi prima) da parte di papa Giovanni XXII. Grazie però ai suoi discepoli Suso e Taulero, a Niccolò Cusano e a vari altri autori/mistici tedeschi l’opera del Nostro fu salvata e tramandata ai posteri. Ma l’attenzione internazionale per gli scritti eckhartiani è di molto aumentata soprattutto nello scorso secolo e prosegue nell’attuale. A tutt’oggi il grande renano è tradotto in svariate lingue e innumerevoli sono i saggi intorno al suo insegnamento. Tant’è che Marco Vannini ‒ a mio avviso il maggiore esperto del Meister, nonché traduttore in italiano di tutte le opere del Nostro ‒ ha sostenuto che: “È molto probabile che la vera «fortuna» di Eckhart sia solo all’inizio”.

E giusto di Vannini è stato recentemente pubblicato un libro intorno a quello che è da ritenersi il sermone più profondo del Meister, intitolato Beati pauperes spiritu (Beati i poveri nello spirito). In esso possiamo cogliere innanzitutto un’accorata esortazione a far proprio l’insegnamento originario evangelico. Ma: “L’appello alla sequela di Gesù” ‒ sottolinea l’autore del saggio ‒ “è quello al completo distacco, fino alla rinuncia a se stessi, alla morte dell’anima”. Come a dire: è necessario attuare in prima persona lo spogliamento kenotico cristico abdicando all’ego: mortificandolo. Non è bene infatti, secondo il magister, desiderare alcunché per sé: neppure la realizzazione spirituale; perseguire la quale altro non sarebbe che una diversa modalità d’acquisizione/ambizione egocentrica.

Nell’ottica eckhartiana il distacco si coniuga quindi all’accettazione serena della realtà/esistenza, anche (soprattutto) quando essa comporti privazioni, pene, lutti. Un’accettazione non certo masochistica, che non ha nulla della passività o dell’apatia ma che si configura come una sorta di noluntas, di rinuncia alla propria volontà/egoità, propria dell’autentico povero nello spirito, che, secondo Eckhart: “niente vuole, niente sa, niente ha”. Eppure, paradossalmente, nulla volendo egli ottiene assai: in ogni circostanza dimorando quietamente, imperturbabilmente. Solo così, come peraltro sostengono i mistici d’ogni epoca e luogo, l’uomo può divenire ‒ qui e ora, non in un futuribile/ineffabile eden ‒ “beato” (saelic).

In quest’ottica Meister Eckart paradossalmente prega Dio di liberarlo (e di liberarci) da fuorvianti idee/teorie su di Lui e da qualsivoglia brama di vana tesaurizzazione spirituale. Solo così si potrà accedere autenticamente all’ambito divino, e ‒ svuotatisi di tutto ‒ godere di tutto. (Bisogna non avere/desiderare più nulla: “nada, nada, nada”, rimarcherà a sua volta Giovanni della Croce). A questo proposito Vannini ribadisce/riporta il più celebre detto eckhartiano: “prego Dio che mi liberi da Dio”. Qualche secolo dopo, Angelus Silesius ‒ mistico, sacerdote e di madre lingua tedesca, come Eckhart ‒ oserà scrivere: “Ancora, oltre Dio, a un deserto devo tendereˮ; cioè ad un luogo/non-luogo indispensabile alla mia evoluzione spirituale, ove sperimentare il silenzio di Dio: la mancanza assoluta di ogni rassicurazione/consolazione religiosa a buon mercato.

Va nondimeno precisato che l’analisi di Vannini non si limita, qui, ad enucleare/chiarire i punti salienti del Sermone 52 (così esso è indicato nella grande edizione critica tedesca delle opere eckhartiane), ma la disamina del suo pur breve saggio affronta ed illustra, in pagine d’una sintesi davvero magistrale, tutte le tematiche care al mistico tedesco. Affrontando altresì quella che nel sottotitolo del libro è indicata come l’Attualità di Meister Eckhart, convinto com’è l’autore che: “La dottrina e l’esperienza di vita spirituale di questo Maestro, se per tanti versi può apparire lontana, nella sostanza è assolutamente a noi vicina”. Condivido inoltre senz’altro con Vannini che il pensiero di questo eminente maestro del medioevo venga a coincidere con quello di altri mistici contemporanei, quali ad esempio Simone Weil ed Henri Le Saux. Ancora, nel Meister: “è ben presente l’eredità filosofica neoplatonica e stoica, che passa poi in tutta la mistica speculativa posteriore, fino a Benedetto da Canfield, a Silesius, e, in conclusione, fino alla sciagurata emarginazione della mistica dalla tradizione cristiana”.

Quello di Vannini appare dunque non solo un testo puntuale e stimolante, ma pure uno strumento indispensabile per chi voglia accostarsi a quel gigante che si rivela essere Eckhart anche alle soglie del terzo millennio. E per comprendere, infine, cosa significhi ‒ oltre a quello psico-somatico ‒ l’ambito dello spirito: nostra realtà essenziale, equivalente a quella di Dio, che non è certo un ente, per quanto sommo, né un’alterità metafisica dimorante in qualche puerile e improbabile paradiso. Ma concludiamo dando la parola giusto a Eckhart, riproponendo un brano citato nel saggio e tratto dal sermone: Ecce mitto angelum meum (Ecco, invio il mio angelo):

Non esiste separazione tra Dio e il tutto, perché Dio è in tutto: egli è più intimo a tutte le cose di quanto esse lo siano a sé stesse. Nello stesso modo, non deve esistere separazione tra l’uomo e le cose; l’uomo deve essere niente in sé stesso, completamente distaccato da sé stesso: così non c’è più separazione tra lui e le cose ed egli è tutte le cose. Perciò, nella misura in cui sei niente in te stesso, sei tutto e non c’è separazione tra te e le cose. Per questo stesso motivo, nella misura in cui non sei separato dalle cose, sei Dio e tutte le cose, dato che la Divinità di Dio sta nel fatto che egli non è separato da cosa alcuna.

Marco Vannini, Beati pauperes spiritu. Attualità di Meister Eckhart, Lindau 2022, pp. 172, euro 19,00

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