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Manzoni è morto

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di Paquito Catanzaro

Un romanzo storico tremendamente attuale. Credo sia questo il modo giusto per raccontare Manzoni è morto, il nuovo romanzo di Stefano Cortese edito da Homo Scrivens per la collana direzioni immaginarie.
Ambientato nella seconda metà dell’ottocento, il libro racconta la vita – dall’infanzia alla vecchiaia – di un giovane napoletano che vive intensamente la sua esistenza mentre l’Italia cambia faccia e sembra pronta a liberarsi del passato come di un fardello inutile.
«Il protagonista, Stefano Turati» dichiara l’autore «è un garibaldino riluttante e disincantato. Inizialmente era protagonista di un racconto – intitolato Uno di Mille – poi, dopo una visita ai Musei Garibaldini di Caprera, mi venne in mente di ampliare la novella in un romanzo, svecchiare il mio Turati (inizialmente centenario) e di renderlo napoletano, calando così il personaggio nella cornice della dorata decadenza del Regno delle Due Sicilie».
La scelta della città non è avvenuta unicamente per ragioni narrative.
«Napoli» continua Cortese «è un romanzo-fiume pieno di anse ancora da esplorare. Manzoni è morto è Napoli, ma è anche e soprattutto un quartiere, il San Lorenzo, ‘a Porta ‘e san Gennaro, e le sue metamorfosi negli anni cruciali del Risorgimento. Napoli, nelle storie, si “tiene a bada” lasciandola fare. Il limo del suo passato si accumula e nasconde. A volte, però, un’intuizione o il resto di una verità tornano alla luce e, chi ha occhio per vedere, può cogliere quel barlume prezioso e farne racconto».
Numerosi i riferimenti ai fatti che hanno segnato la Storia, con Stefano che diviene – per certi versi – un Forrest Gump ante litteram: gli incontri con Giuseppe Garibaldi, Alessandro Manzoni, Ippolito Nievo avvengono in maniera del tutto casuale e in circostanze che non alterano il corso degli eventi. Sono, altresì, dei punti di svolta importanti per il protagonista che – da quegli incontri – esce cambiato, non foss’altro per aver avuto la possibilità di scambiare due chiacchiere con un proprio idolo.
A proposito di incontri, quello di Cortese è un romanzo pubblicato durante il lockdown. Come e quanto la quarantena sta cambiando la figura dello scrittore?
«Lo scrittore è un comunicatore, prima di tutto. Credo che lo sviluppo e il progressivo perfezionamento degli strumenti di comunicazione non possa far altro che giovare alla professione. Ho sperimentato che mantenere un contatto diretto, genuino e sincero coi lettori attraverso i social è utile. Inoltre, questo giova alla completezza della figura professionale. Associare all’abilità di “mettere la penna sul foglio” quelle di saper congegnare post efficaci è fruttuoso nell’arte del trasmettere cose».
L’ultima domanda: cosa si aspetta Stefano Cortese da questo romanzo? «Citando il mio nume, Alessandro Manzoni, lascio ai miei venticinque lettori il compito di rispondere a questo quesito».

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