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Lo splendore trascurato del mondo

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di Francesco Roat

È, ahinoi, purtroppo vero quanto osserva all’inizio del suo ultimo saggio il filosofo e psicoanalista Romano Màdera, notando come oggi la parola “mistica” suoni obsoleta, distante dalla sensibilità comune, o peggio ancora del tutto svalutata come fantasticheria da non prendere seriamente in considerazione. Inoltre/oppure viene recepita dai più quale espressione esoterica propria di questa o quella confessione religiosa: ambito da cui molti si sentono ormai lontani.

Ma è innanzitutto opportuno ricordare che tale vocabolo deriva dal verbo greco myein, che significa ammutolirsi, chiudere la bocca e abbassare gli occhi davanti all’indicibile di quel mistero che è il sacro/divino, dove l’ego vien messo a tacere e cessa ogni dualismo fra soggetto e oggetto, io e Dio (o natura, Tutto). Per questo la mistica comporta una peculiarissima miopia in grado di permettere l’apertura del terzo occhio, quale è inteso presso in varie tradizioni orientali, che consente di vedere l’invisibile. Scontato si tratti di un vedere non sensoriale e di una conoscenza non mentale/concettuale.

Per cui, dice bene Màdera: “A tutti quanti potrebbe servire guardare al di là di sé, al mistero che ci avvolge nel cosmo e negli altri: sentire, o per lo meno «stare a sentire», quelle esperienze che ci mostrano una forma di appartenenza alla vita piena. Nonostante tutto”. Al fine di sperimentare quella che l’autore chiama una mistica “selvaggia”, senza confini o appartenenze istituzionali, religiose e/o dottrinali alcune. Il denominatore comune di una tale mistica potrebbe essere trovato in quella dimensione che Romain Rolland indicò con la felice locuzione di: sentiment océanique (sentimento oceanico): sorta di estasi laicissima che ci consente osservare il mondo in modo non pregiudiziale ma come lo vedessimo per la prima volta.

E sottolineo il termine estasi (derivante dal greco ek-stasis: star fuori di sé), che indica il prendere le distanze dalla tendenza all’egocentrismo, che oggi tende a caratterizzarci sempre più, per: “superare la limitazione e la transitorietà effimera dei bisogni, degli interessi e dei desideri legati al piccolo io”, e quindi per aprirsi agli altri e all’Altro, indicando questa parola allusivamente metaforica tutto ciò che si situa altrove e oltre la nostra minuscola monade narcisistica. Chiunque può rendersi disponibile a tale sentire oceanico, che non deriva (solo) dall’affidarsi a Dio, ma che implica una fiducia nella vita, nel presente e nella fratellanza universale rispetto a tutto quanto esiste.

Per poter gustare di questa mistica profana, tuttavia, avverte Màdera: “bisogna lasciare la pretesa del controllo, entrare in una sorta di non agire progettuale”. Un po’ come il wu wei degli antichi taoisti cinesi, ovvero la prassi dell’azione che non prevede intenzionalità; il che significa attenersi al ritmo naturale in ogni ambito, non pretendendo inoltre che le cose vadano come noi vorremmo, bensì accogliendo di buon grado quanto accade. Ciò non significa affatto rinuncia all’impegno, alla responsabilità o alla cura, ma un diverso e meno autocentrato e ombelicale modo di impegnarsi e realizzarsi.

Potremmo dunque riassumere in una frase sintetica dell’autore in cosa consista la dimensione mistica ‒ sia essa quella tradizionale/religiosa, sia quella selvaggia/secolare ‒: essa è “quell’esperienza che può far sperimentare pienezza in qualsiasi circostanza della vita”. Anche o soprattutto in quelle più drammatiche e dolorose; non per esorcizzarle a buon mercato ma per saperle affrontare e accettare, quando non si sia in grado di modificarle. Parlando dello spirito, non per nulla Hegel ebbe a notare come esso sia potenza: solo quando guarda in faccia il negativo e soggiorna presso di esso. Tale soggiorno è il potere magico che converte il negativo nell’essere.

Ma come è possibile rinascere all’esistenza ‒ si/ci chiede Màdera ‒. “se la vita è diventata morta mentre si vive?”. Molte infatti possono essere le cause di una simile, profonda crisi: lutti, malattie, insuccessi, smarrimenti e chi più ne ha più ne metta. Però non importa: “Bisogna cambiare strada, cercare una nuova direzione, un nuovo senso (…) capire che ogni momento è prezioso e non può essere sprecato”. È l’attenzione davvero mistica al presente o al qui e ora, da non sottovalutare mai quanto piuttosto da utilizzare al meglio, se appena si guarda ad esso senza pregiudizi/prevenzioni. È il giusto distacco dalla tracotanza, l’abdicazione alla supponenza egoica. È il liberarsi dal vano dover essere sempre vincenti, potenti, impazienti.

“Allora (conclude l’autore) può apparire che il senso riflesso dell’onniavvolgente tutto ‒ nella percezione estatico mistica ‒ diventi il criterio dell’azione: il sentire-sapere-riconoscersi pulsazione secondo il tutto imprime la direzione, il senso dell’agire, nella compartecipazione solidale di tutti e tutto con tutto. Questo include quindi anche accogliere la distruzione e la morte di ogni determinazione e particolarità di vita, intese come passaggio permanente della transustanziazione di ogni atomo particella-subatomica nel fluire-essere dell’unimultiverso”.

Romano Màdera

Lo splendore trascurato del mondo. Una mistica quotidiana

Bollati Boringhieri, 2022

pp. 154, euro 14,00

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