Connect with us

Articoli

L’insostenibile fragilità del critico poetico

Published

on

di Gisella Blanco

Fra i tre poli respingenti e competitivi di scrittori, lettori e librai c’è un puntino, al centro di questa triangolazione poco scaltra e molto erotica, che pulsa come il cuore di un feto nel grembo materno (e lo sente solo la madre): il critico.

Chi ci pensa al critico che deve leggere valanghe di libri per selezionare quella rosa, sempre meno ricca di petali adeguatamente profumati, di consigli di lettura che val la pena non lasciarsi sfuggire, che siate scrittori, lettori o librai? Il critico, trovandosi al centro, risente delle influenze dei suoi tre poli ma li intercetta, li organizza, li stilizza, li allinea e, se vuole, li annienta. Per non parlare del critico poetico che sembra essere travolto da valanghe di pubblicazioni ma, in fondo in fondo, è lui che le travolge (e, nel farlo, travolge e stravolge anche un po’ se stesso). Avete mai pensato cosa c’è dietro una recensione? Certo, non una di quelle note di lettura copiaeincolla in cui l’ardire di riportare il dato biografico autoriale esautora a pieno titolo la descrizione dell’opera che, già per essere una descrizione, esclude la sua presunta essenza di (auto)critica. Dicevo, dietro a una recensione di mille, duemila, tremila battute c’è, innanzitutto, l’imprescindibile lettura del libro (di tutto il libro che, nonostante sembri un assurdo ossimoro, non è un fatto scontato). E per leggerne criticamente uno, credetemi, se ne devono esser già letti almeno altri cento. Segue la rilettura analitica dei vari strati ermeneutici del testo che sondano le più recondite caratteristiche della semantica per giungere ai traboccamenti interioristici più o meno espliciti, più o meno consapevoli. Le fasi del processo critico che vengono dopo, le lascio al segreto e al caso che, talvolta, coincidono proprio perché nessuno dei due, in fondo, esiste per davvero ma è della fragilità del critico che vorrei parlare. Di come si venga trascinati nelle foreste delle interiorità altrui, senza il distacco del medico e la prova attitudinale dello psicologo, pur essendo un medico di diagnostica della parola e un terapeuta che indaga il senso nascosto nel linguaggio e conosce il linguaggio segreto del senso. Un critico si fionda nell’edificio ideologico ed emotivo (che c’è sempre, anche quando l’opera ne declama tendenziosamente l’inesistenza) di un elaborato altrui e non ne può far parte se non per brevi e indesiderati istanti di transfer intellettuale o, ancor peggio, sentimentale. E se avete dubbi su quale critico, di prosa o di poesia, sia più esposto alle correnti di se stesso che incontrano quelle altrui originando convulsioni nel clima psichico, basta riflettere sull’oggetto delle sue attenzioni. La prosa racconta tutto o quasi, si dipana attraverso una profusione di vocaboli, immagini, fatti, dialoghi, spiegazioni, motivazioni, riflessioni. La poesia, invece, è composta più dal non-detto che dalla parola, di cui utilizza la carica immaginifica o il profondo non-senso per esprimere intuiti condivisibili solo per brevi istanti e che continuano a rielaborarsi nel tempo della mente, nel sogno, nell’inconscio. Chi fa critica della poesia (e se ne assume la responsabilità), non può immaginare qualcosa che è spiegato: deve crearlo, e lo deve fare a immagine e somiglianza dell’autore e non di se stesso. Immaginate, adesso, che piccolo quotidiano dramma quello di dover rimanere se stessi nonostante tutto l’amore per la poesia.

Continue Reading
Click to comment

You must be logged in to post a comment Login

Leave a Reply

Copyright © 2020 Leggere:tutti