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Lo Zibaldone

L’innominabile attuale

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di Francesco Roat

È un saggio intelligente, coltissimo, ironico, raffinato e pacato ‒ come del resto anche i precedenti ‒ l’ultimo libro di Roberto Calasso, L’innominabile attuale, edito ovviamente da Adelphi, di cui il noto intellettuale fiorentino è direttore editoriale. Un testo che si interroga su un presente-sfuggente che, mai come ora nella storia umana, sembra ignorare o non considerare il passato da cui proviene. Una serie di scritti/riflessioni che non intendono velleitaristicamente proporre facili soluzioni o risposte preconfezionate, ma che inducono il lettore a interrogarsi su se stesso e sull’epoca che sta vivendo in un mondo, dove ‒ per dirla con la felice metafora posta in epigrafe dall’autore ‒: “Il terreno è friabile, le linee si sdoppiano, i tessuti si sfilacciano, le prospettive oscillano. Allora si avverte con maggiore evidenza che ci si trova nell’”innominabile attuale””.

Un’attualità, quindi, di complessa decifrazione: abitata com’è da turisti, terroristi, fondamentalisti, transumanisti, algoritmici e tanti altri attori che Calasso trascina sul palcoscenico della sua ilarotragica commedia umana per illuminarne i tratti inquietanti e sfuggenti. Come quelli appartenenti a chi, ad esempio, nel nuovo millennio persegue un nuovo tipo di terrore: non già quello nichilista, anarcoide o fondamentalista, ma secolare. O, verrebbe da dire, spettacolare, in quanto esso: “vuole innanzitutto uscire dalla coazione sacrificale” optando per la strage fine a se stessa, per l’assassinio senza movente. Appare evidente, al di là di ogni considerazione sociologica o psicologica che – nota Calasso senza alcuna punta di cinismo –: “il caso è il committente ultimo di quegli atti”, in cui assistiamo sgomenti a performance di un estremismo tanto gratuito quanto efferato.

Da sempre la religione, o la spiritualità, nella sua inesausta tensione all’oltre rispetto alla superficie dei fenomeni, ha tentato di evidenziare le tracce di un senso rispetto alla nostra comune parabola esistenziale. Oggi la società secolare sedicente a-tea (priva di qualunque riferimento a ciò che nei secoli è stato chiamato sacro o divino) non ha più dèi o idoli di riferimento ma, osserva ancora Calasso: “appare condannata a una superstizione nuova e insinuante: la superstizione di se stessa”. Così in questi nostri tempi incerti ma affamati di certezze, il sociale ‒ per dirla con le parole luminose di Simone Weil ‒: imita il religioso fino al punto di confondervisi, salvo un discernimento sovrannaturale.

Tuttavia come dovrà/potrà orientarsi chi non aderisce più ad alcun credo o ideologia, ma si rifiuta di seguire il culto e i riti della società consumistico-capitalistica? Pur non facendo riferimento ad alcuna metafisica, come vivrà l’uomo il quale non nega la possibilità che esista qualcosa oltre la fisica: ciò che in antico era chiamato l’invisibile o l’ineffabile? Ovviamente Calasso si guarda bene dal fornire facili soluzioni ai numerosi interrogativi filosofico-antropologici di cui il suo libro è disseminato. Non fa certo riferimento alla moderna divinità a cui moltissimi si sentono sempre più legati: la scienza. Né alla laica ragione (o religione?) economicistica e/o utilitaristica, cui si prostra il cosiddetto Homo saecularis, il cui unico comandamento è rispettare e favorire la proprietà privata (la sua, quantomeno).

Ma pure chi, nell’età del disincanto e della secolarizzazione, si proclama umanitario, progressista ed altruista, impegnandosi in una politica tesa a promuovere la “prosperità” d’ogni individuo, finisce quasi sempre per sentirsi in dovere di fare i conti col prodotto interno lordo. L’alternativa, per altri, è rifondare il comunismo (nuova formula religiosa?) o auspicare una più equa redistribuzione delle ricchezze, confidando nella generosa presa di coscienza ecologica degli abbienti o nell’intervento autoritaristico di uno Stato in grado di togliere come Robin Hood ai ricchi per dare ai poveri (utopia fideistica?). In ogni caso il nostro autore insiste su un punto; le azioni promosse per il bene di una società laica o religiosa che sia, come quelle rivolte al bene del singolo in un’ottica secolare o meno: “sono atti radicalmente distinti, ma accomunati dalla sussistenza di una fede”.

A questo proposito c’è una scena oltremodo significativa illustrata nel saggio. Ci troviamo all’interno di una riunione accademica dove tutti, pur dichiarandosi agnostici, condividono pero taluni basilari principi etici e comportamentali. Il problema però si presenta allorquando si tenta di individuare su che si fondino tali principi. Allora ‒ come osservò Nietzsche ‒ il Grund, il fondamento, il terreno solido su cui si riteneva di poter procedere stabilmente, viene meno: tutto vacilla e si spalanca l’Abgrund, l’abisso.

Roberto Calasso

L’innominabile attuale

Adelphi, 2017

pp. 189, € 20,00

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