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L’inferno di Michela Murgia

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di Rosalba Carchia

Questo è un libro che ho desiderato leggere sin dal primo istante in cui ho avuto notizia della sua esistenza. Me lo sono andata a prendere a Napoli, dopo aver ascoltato di persona Michela Murgia che lo presentava. Sì, me lo sono fatto anche firmare e con sommo gaudio.
L’inferno è una buona memoria fa parte di un progetto molto originale e interessante di Marsilio Editore: la collana PassaParola, in cui alcuni scrittori italiani si raccontano attraverso la memoria del libro che ha, in qualche modo, segnato la loro vita. Michela Murgia ne “L’inferno è una buona memoria” parte dai suoi ricordi de Le Nebbie di Avalon” scritto da Marion Zimmer Bradley, libro principale del ciclo di Avalon, uscito in Italia nel 1986. Marion Zimmer Bradley non si limita a ripercorrere le storie arturiane assecondando il classico schema convenzionale, bensì rilegge anzi riscrive i miti di re Artù in un Medioevo mitologico, raccontando i fatti con gli occhi, la voce, il corpo, il cuore e la mente delle “personagge”. Le donne, in questa versione delle cose, sono nnanzitutto donne e poi sacerdotesse, madri, maghe, amanti, spose, serve. Hanno un ruolo. Decidono del destino degli uomini che sono sulla loro strada e aspirano al potere in tutte le sue declinazioni. Sono protagoniste, hanno un’identità e la difendono,
proteggono il loro status, dominano gli eventi, amano, odiano, sono strateghe. Donne che con le favole assorbite sin da bambina dalla Murgia non hanno niente a che fare. Un archetipo altro il quale sovverte, in modo inatteso, il nostro tradizionale paradigma del mondo.
“Marion Zimmer Bradley, come una barda folle, si è seduta davanti al ciclo monstre delle storie arturiane… e ha deciso di inventarsi tra le sue pieghe l’altra storia, quella che i canti dei cavalieri della Tavola Rotonda e delle gesta del re medievale non hanno voluto tramandarci.” “Le Nebbie di Avalon” doveva essere una semplice lettura che accompagnasse la Murgia durante una traversata notturna in nave dalla Sardegna al “continente”. Al massimo avrebbe dovuto essere d’ispirazione per le sue storie inventate nei giochi di ruolo letterari fantasy a cui, ai tempi, partecipava. Invece, quella lettura fece molto di più: riuscì a penetrare nel profondo e a contaminare le sue convinzioni femministe, politiche, letterarie, religiose che fino a quel momento le sembravano ben salde ed efficaci. L’acume e la sensibilità straordinari della Murgia offrono un’abile interpretazione del testo e, attraverso questo testo, della realtà stessa. Un testo che ha scelto di non rileggere prima di scriverne in rapporto a sé stessa, nonostante siano passati sei anni dall’ultima volta che l’ha letto. Rivendica così il suo diritto di essere narratrice della materia di Britannia e di ricordare a proprio modo le vicende, compiacendo i processi della tradizione orale da cui prende le mosse il ciclo arturiano.
I ricordi de Le Nebbie di Avalon si intrecciano sapientemente con i ricordi della sua infanzia, della sua famiglia, del suo essere donna, delle sue scoperte letterarie e religiose, di eventi e riflessioni personali. Avalon è una mitologica isola sacra dove vive una casta di sacerdotesse e druidi che segue il culto della Dea, un’antichissima religione minacciata da un cristianesimo sempre più incalzante e impetuoso contro ogni forma di paganesimo. Ma le sacerdotesse ad Avalon si sono difese con delle fitte nebbie che solo loro possono far scendere o far sparire, rendendole invisibili o visibili. La sacerdotessa più potente di Avalon, Viviana, decide la nascita di Artù e ha inizio la storia. La storia di Artù e dei cavalieri della Tavola Rotonda diventa la storia di Morgana, Igraine, Morgause, Viviana e Ginevra che danno vita a tre generazioni di personaggi.

Il potere diventa protagonista al femminile ed è soprattutto nel conflitto religioso che si lega, con evidenza, al conflitto di genere. Il maschio cavaliere, re o amante che sia conta solo in quanto mezzo a servizio di una strategia che risponde a una mente di donna.
“Senza quel ribaltamento io non avrei mai capito che gli sconfitti dell’epica di ogni tempo non sono gli eserciti nemici, di cui, comunque, come nell’Iliade, persino i vincitori finiranno per cantare le gesta: sono le donne, private di ogni narrazione.” La rivoluzione di queste donne la si può guardare da vicino per ognuna di loro, guidati nella lettura, dall’intuizione della scrittrice di Cabras. Sono ritratti straordinari raccontati soprattutto attraverso meravigliosi monologhi immaginati e scritti per queste “personagge”, e ttraverso confronti con altre figure femminili altrettanto emancipate, appartenenti al mondo biblico. Alcune di loro le ritroviamo persino in un quadro di Klimt.

Michela Murgia

“Senza la conoscenza di quel trio formidabile di femminilità apparentate (Viviana, Igraine, Morgana, ndr) io avrei continuato a osservare il quadro di Klimt (Le tre età della donna, ndr) (e tutta l’arte) come chiunque, convinta dell’universalità dei canoni che esprime, persuasa che dicesse davvero qualcosa di me in quanto donna .” Ciascuna di queste protagoniste è la dimostrazione, per la Murgia, che non esiste una sola definizione di femminismo, esistono tante rappresentazioni del femminile e dunque tanti femminismi. La stessa Bradley racconta una sola delle modalità del femminismo. “Ciascuna di queste sfumature, presa da sola e assolutizzata come il femminismo, non solo non basta a includere tutte le donne, ma finisce per essere un’arma formidabile del maschilismo, che facendo propria la distinzione tra quello che è ortodosso e quello che invece non lo è, ha tutto l’interesse a radicalizzare la contraddizione tra le diverse visioni per infrangere il fronte della lotta in mille ghetti e così disinnescarla.”
Questa è la grande innovazione di pensiero: la necessità e la difesa di questa pluralità. “L’inferno è una buona memoria” va al di là di un banale manifesto del femminismo o di una mera apologia della donna: costruisce consapevolezze, le rigenera. Lo stile narrativo è proprio di chi maneggia con disinvoltura la propria lingua, di chi vive a fondo ogni esperienza e di chi sa cosa vuol dire comunicare. Lo fa con un linguaggio che riesce a mantenere un perfetto equilibrio tra erudizione, familiarità, ironia.
Da donna mi sono ritrovata in molte contraddizioni o pregiudizi descritti nel libro, come quando si pensa che la donna per essere considerata uguale all’uomo debba essere, di regola, migliore.
“Una donna deve essere una studiosa inappuntabile, ma anche una splendida madre. Potrà andare in ufficio a comandare tutti i sottoposti che vuole, ma in nessun caso questa sarà una ragione sufficiente a spiegare perché in casa i panni non sono stirati.”
Oppure quando si considera che le donne siano sempre mosse, quasi in maniera innata, da nobili sentimenti: “Morgause, la sorella oscura delle tre ragazze di Avalon, mi ha insegnato che potevo essere femminista e allo stesso tempo non essere affatto buona.”
Ciò che più mi ha affascinata di questo libro sono stati i monologhi delle “personagge”, così umani, intimi e rivelatori. Come quello di Morgana:

L’inferno è il risultato del paradiso, Ginevra;

è quando hai avuto tutto e hai amato tutto

quello che hai avuto

e hai perduto tutto quello che hai amato

che vedi in faccia il posto dove nessuna anima vuole andare.

Non è un luogo l’inferno, Ginevra: è una buona memoria.

Morgana, strega ribelle; Morgause, ambiziosa ed egoista; Igraine, materna e docile; Ginevra, acerba e arrendevole; Viviana, umana e spietata insieme: c’è un po’ di loro in ogni donna e io ci metterei
anche un po’ della Murgia fra queste. Consiglio di leggere “L’inferno è una buona memoria” sia agli uomini che alle donne, perché parla a tutti. Sono pagine dense che fanno ciò che ogni libro dovrebbe fare e cioè, a prescindere dalla prospettiva, insegnano qualcosa.

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