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Lo Zibaldone

L’implosione di una religione

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di Francesco Roat

Prete, teologo, ma soprattutto libero pensatore, Bruno Mori ‒ nel suo saggio, esemplarmente intitolato L’implosione di una religione ‒ lancia un duro j’accuse: “la ricerca del potere, il desiderio di difenderlo e accrescerlo sono stati i motivi fondamentali che hanno determinato e motivato la condotta, le prese di posizione e le politiche delle autorità ufficiali della Chiesa come Istituzione. Non credo quindi di sbagliare affermando che la Chiesa è la più grande macchina di potere che la civiltà occidentale abbia prodotto negli ultimi due millenni”. E prosegue affermando in modo risoluto che: “Nessuna Istituzione può pretendere di avere il monopolio dei mezzi per raggiungere Dio, né dell’interpretazione e della comprensione di Gesù di Nazaret”. Pertanto: “Penso che sia necessario liberare Gesù da un potere che lo ha imprigionato nella fortezza intoccabile delle sue dottrine e dei suoi dogmi”.

Questa accusa viene ulteriormente articolata da Mori che insiste poi sulla perniciosità dei dogmi cattolici a cui i fedeli dovrebbero credere e pure sottomettersi. Dogmi, formulazioni mitologiche e racconti evangelici puerili che in tutta franchezza non possono più essere accettati o ritenuti veri dalla la maggior parte delle donne e degli uomini nel terzo millennio. Chi infatti può prestar fede alla verginità fisico-biologica di Maria, ritenere che Gesù abbia sfamato con pochi pani e due pesci cinquemila persone, credere che il Cristo sia fisicamente uscito dal sepolcro dopo tre giorni dalla sua crocifissione e quindi davvero salito in cielo? Perché, inoltre, la religiosità dovrebbe ridursi ad accettare affermazioni assurde, stabilite in antichi concili, molti dei quali datati ben oltre mille anni fa?

Per non parlare della dottrina basilare della Chiesa, secondo la quale la morte di Gesù avrebbe realizzato la redenzione dell’umanità, cancellando il peccato originale (sic). Ma quale spiritualità può oggi far riferimento ad un Dio che pretenda il sacrificio del proprio Figlio? “Credo quindi”, scrive ancora Mori, “che non corrisponda affatto alla verità pensare che Gesù volesse morire sulla croce e che, di conseguenza, sia una supposizione del tutto arbitraria voler attribuire a Gesù la volontà e persino il desiderio di morire per realizzare il disegno di Dio”. Il maestro di Nazaret aborriva la vendetta e la punizione del reo tramite la pena capitale e si sarebbe certo indignato di fronte ai tribunali religiosi dell’inquisizione che mandavano al rogo quanti non si piegavano ai dettami clericali. Egli piuttosto amava le persone costrette al margine della società, tanto che egli fu stigmatizzato come “un mangione e un beone, un amico di pubblicani e di peccatori!” (Lc 7,34).

Anzi, nelle sue predicazioni, egli parlava della divinità come di un padre amorevole, pronto al perdono, all’accoglienza ed alla comprensione. E nel cosiddetto regno di Dio ‒ abitato soprattutto da poveri, perseguitati, miti e puri ‒, gli ultimi della Terra sarebbero stati i primi ed in esso non avrebbe potuto soggiornare chi non fosse tornato bambino nel cuore. Quel che contava per Gesù era indirizzare costantemente la propria condotta all’insegna dell’amore per il prossimo, attraverso una prassi esistenziale fatta di cura, fratellanza, equanimità e condivisione; il che comportava una trasformazione del vecchio modo di pensare, sentire, giudicare ed operare. Al di là di miracoli e appellativi divini (Figlio di Dio, Seconda Persona della Trinità, Cristo, Messia, Signore), dunque, per chi oggi voglia ancora seguire l’insegnamento del grande Nazareno è ritenere che il vangelo ‒ termine derivato dal greco cristiano euanghélion (buona novella) ‒ contenga: “una «notizia» così «buona», così benefica, così liberatoria, così innovativa e rivoluzionaria per il genere umano , da poter credere che la presenza di questo Uomo nel nostro mondo è stata per noi come una «rivelazione» insperata”.

Altra significativa presa d’atto di Mori è il ritenere che (non solo a suo avviso, però, in quanto la sua tesi è stata già sostenuta molti altri autori) Gesù non abbia mai fondato né una Chiesa, né una nuova religione. Paradossalmente infatti quest’ultimo non era cristiano, semmai il suo messaggio si colloca: “all’interno di un movimento di riforma del pensiero ebraico”. Il vero teorico/fondatore del cristianesimo è senza dubbio Paolo di Tarso e l’affermazione teologica ‒ fondamentale per la Chiesa ‒ sulla natura sia divina che umana di Cristo viene definita nel 451 dal Concilio di Calcedonia. Tale asserto dogmatico, tuttavia, scrive sempre Mori: “è oggi ormai incapace di conciliarsi con le esigenze di una sana razionalità ed è nell’impossibilità di «inculturarsi» in una società post-religiosa, critica e scientifica”. Presa di posizione netta ed inequivocabile che fa discendere Gesù dal cielo di un empireo tanto immaginifico quanto improbabile e ci restituisce questo maestro spirituale come facente parte esclusivamente dell’umanità.

Lasciamo infine la parola conclusiva all’autore, il quale auspica che i, da lui definiti, cristiani di domani: “Rifiuteranno, quindi, per sempre di appartenere a una Chiesa e a una religione che si crede unica detentrice e distributrice di verità e salvezza. Ricuseranno per sempre che una casta di «chierici» si arroghi il diritto d’indicare con autorità la condotta da seguire per vivere in pace con loro stessi e con Dio. Non accetteranno più nessuna autorità, soprattutto religiosa, che si arroghi il potere di stabilire o di definire al loro posto le regole del bene e del male nella loro vita. Vorranno solo essere fedeli allo spirito e al messaggio del Nazareno che li ha liberati da servitù e da appartenenza”.

Bruno Mori, L’implosione di una religione. Verso la crisi dei dogmi, dei sacramenti e del sacerdozio nella Chiesa cattolica, Gabrielli Editori, 2024, pp. 298, euro 20,00

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