Articoli
L’illusione della realtà
I filosofi da sempre si sono interrogati su cosa sia la realtà. Già Democrito 400 anni a.C. dubitava che le nostre percezioni sensoriali ci permettessero di cogliere il reale e da allora, sino alla moderna fenomenologia, il problema permane problematico assai e si riassume in un quesito basilare: ciò che appare al nostro sguardo, o ai nostri strumenti d’indagine, costituisce una serie di dati oggettivi/effettivi oppure ogni cosa è solo una nostra rappresentazione? Donald Hoffman ‒ che insegna scienze cognitive presso una prestigiosa università californiana ‒ cerca di rispondere a questa intrigante domanda tramite un saggio intitolato L’illusione della realtà, in cui prende sin dalle prime pagine una posizione netta e perentoria, secondo la quale tutti i fenomeni da noi percepiti (dagli atomi sino alle galassie) sono appunto solo tali ossia, etimologicamente, si riducono a mere apparenze.
Secondo l’autore, giusto come le icone sul desktop dei nostri computer debbono venir considerate simboli utili, ma non immagini veritiere di quanto esiste davvero nell’hardware e nel software, pure gli oggetti che ci stanno di fronte possono venir considerati una sorta di icone: utilissime, tuttavia non certo in grado di dirci nulla rispetto a quanto ci sembra esistere fuori di noi. Tale processo percettivo è il risultato dell’evoluzione ‒ afferma Hoffman ‒, la quale: “Ci ha dotato di sensi che nascondono la verità e mostrano le icone semplici di cui abbiamo bisogno per sopravvivere”. Accogliendo questa prospettiva, non potremo dunque più sostenere che esistano sul serio entità come, ad esempio, “i serpenti e le mele”, giacché: “La percezione non è una finestra sulla realtà oggettiva, ma un’interfaccia che la nasconde dietro un velo di icone utili”.
Ma Hoffman, nella sua demolizione di quello che potremmo chiamare realismo ingenuo, non si ferma qui, giungendo a dire che pure lo spazio e il tempo non esistono, ma sono categorie mentali, schemi interpretativi e nulla di più. Che cosa vi sia, insomma, oltre il (e altro dal) nostro apparato cognitivo non c’è dato sapere. Già lo scriveva Kant: l’essenza della realtà, il noumeno, cioè “la cosa in sé” (das Ding an sich) è inconoscibile. Questo non significa, ovviamente, svalutare o non considerare valide le percezioni nella vita quotidiana; si tratta di prenderle sul serio ma non alla lettera. Nota infatti il nostro scettico ma pratico cognitivista: “Non mi butterei sotto una macchina in corsa per lo stesso motivo per cui non trascinerei con noncuranza l’icona azzurra [di un file] nel cestino”.
Un’obiezione a quanto detto sopra potrebbe essere: forse non vedrò in modo oggettivo una mela, ma resta il fatto che, se ci sono più osservatori a guardare questo frutto, concorderanno di sicuro che è tale, ha un certo colore, è aspra o dolce, ecc. Verissimo, osserverebbe Hoffman, forse precisando però che se una visione/percezione combacia con altre, ciò non significa che essa sia veritiera: che ci permetta di conoscere la realtà così come essa è, bensì soltanto come comunemente ci appare. Nemmeno la fisica e la chimica, a detta dell’autore, possono farci giungere a qualche verità definitiva e incontrovertibile, in quanto: “Come la filosofia e la pratica religiosa, la scienza è un’attività umana. Non è infallibile. (…) La scienza non offre convinzioni incrollabili, ma un metodo efficace per vagliare le convinzioni, (…) non è una teoria della realtà ma un metodo d’indagine”.
Tornando alla radicale messa in discussione dei fenomeni da noi chiamati oggetti e che collochiamo entro le coordinate spazio-temporali, Hoffman rimarca come tutti questi aspetti (concetti?) scomparirebbero in assenza dell’homo sapiens. Senza un linguaggio e un animale loquente, in effetti, essi sono destinati a perdere consistenza. Detta altrimenti, pur non mettendo il dubbio che in questo momento io stia scrivendo su una scrivania, parlare in modo colloquiale o scientifico intorno ad essa comporta senza dubbio l’utilizzo di un vocabolario, di una grammatica e di una logica condivisi. Vedi la nota formula wittgensteiniana secondo cui: I limiti del mio linguaggio significano i limiti del mio mondo.
Concludo citando un brano di Hoffman che si/ci diverte con ipotesi fantascientifiche, ma non inconcepibili: “Forse il mondo è una simulazione al computer e noi siamo solo avatar che lo abitano (…) Forse in un altro mondo c’è un esperto in informatica che si diverte a creare e controllare noi e il nostro mondo. A loro volta, quell’esperto e il suo mondo potrebbero essere il giocattolo digitale di un esperto in informatica in un mondo a un livello più profondo”. E avanti così, all’infinito, senza mai poter sapere quale sia davvero la realtà. D’altronde già Zhuangzi un giorno dichiarò ai suoi discepoli: Questa notte ho sognato di essere una farfalla: ora io non so se ero allora un uomo che sognava d’esser farfalla o se io sono una farfalla che sogna di essere uomo. Ovvero, per dirla con Calderón de la Barca, forse: la vida es sueño, la vita è un sogno.
Donald Hoffman
L’illusione della realtà.
Come l’evoluzione ci inganna sul mondo che vediamo, Bollati Boringhieri 2021
pp. 330, euro 24,00.
Notice: Undefined variable: user_ID in /home/kimjcgib/public_html/wp-content/themes/zox-news-childfemms/comments.php on line 49
You must be logged in to post a comment Login