Lo Zibaldone
L’Antologia di Vieusseux e quel fascicolo censurato
di Niccolò Lucarelli
Anche se il Granducato di Toscano di metà Ottocento godeva della fama di Stato tollerante e liberale, vi operava tuttavia una censura che, seppur assai più bonaria di quella all’opera nel Lombardo-Veneto, non rimaneva inoperosa. E nel 1833 ne fece le spese anche un caposaldo della cultura dell’epoca, non soltanto italiana bensì di respiro europeo: l’Antologia, fondata a Firenze dodici anni prima da Giovan Pietro Vieusseux, animatore dell’omonimo Gabinetto Scientifico Letterario, di cui la rivista era appunto l’organo ufficiale, e che accanto alle questioni sociali e politiche, presentava ai lettori saggi critici di letteratura, anteprime di nuove opere, commenti e dissertazioni ad ampio raggio. Tra le firme, Giacomo Leopardi, Niccolò Tommaseo, Pietro Colletta, e altri nomi illustri del panorama culturale dell’epoca. Ma il numero uno dell’annata 1833, previsto per gennaio, non arrivò mai ai suoi lettori, perché appunto incappò nelle maglie della censura che decretò la cessazione dell’attività della rivista. La ragione la si ritrova nell’editoriale a firma dello stesso Vieusseux che appunto apriva il numero di gennaio, e nel quale si affermava come il processo apertosi con l’Illuminismo oltre mezzo secolo prima, era un qualcosa di irreversibile che avrebbe, in un futuro non troppo lontano, posto fine all’autorità imposta per mezzo della tirannide; la dialettica politica fra governi e cittadini avrebbe dovuto svilupparsi prima di tutto attraverso quelle riforme che mettessero questi ultimi in grado di ricevere un’adeguata istruzione, promo fondamentale passo per creare cittadini consapevoli, capaci di capire la necessità di norme e regole. Ma queste non dovevano avere il volto di vessazioni imposte dall’alto, altrimenti la coscienza civile che i Lumi avevano risvegliata, si sarebbe presto rivoltata. Un’opinione che non era facile divulgare, nemmeno nella pur liberale Toscana del primo Ottocento. Non si era ancora spenta l’eco dei moti del 1831, per cui il timore verso certe affermazioni giudicate sovversive dell’ordine pubblico e quindi possibili istigazioni alla ribellione, era ancora diffuso. Quel numero fu quindi sequestrato e la rivista cessò le pubblicazioni.
Ma oggi, dopo quasi due secoli (e con l’Antologia che da tempo ha ripresa l’attività e festeggiato recentemente il bicentenario) il “famigerato” fascicolo del gennaio 1833 arriva finalmente ai lettori, per iniziativa della storica casa editrice fiorentina Leo S. Olschki, che lo pubblica in riproduzione fotografica, con un ampio saggio introduttivo che ne ricostruisce la storia e le vicissitudini. Delle 1000 copie sequestrate, se ne salvò una, che Vieusseux conservò fra le sue carte personali, poi “ereditate” dalla Biblioteca Nazionale Centrale.
«Un des livres le plus précieux». Il fascicolo soppresso dell‘Antologia (gennaio 1833), è curato da Gabriele Paolini e comprende tutti i saggi previsti per il numero, e grazie alla riproduzione fotografica è possibile apprezzare gli aspetti estetici della stampa dell’epoca. Sfogliando i saggi, si trova un’interessante miscellanea di economia, di geo-politica dell’epoca, di letteratura antica e moderna. Un’impostazione che fece dell’Antologia una delle più interessanti riviste di pensiero a livello europeo.
«Un des livres le plus précieux». Il fascicolo soppresso dell‘Antologia (gennaio 1833)
Gabriele Paolini (a cura di)
Leo S. Olschki, 2022
pp.186, Euro 35,00
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