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Lo Zibaldone

L’anticristo di Nietzsche, una nuova edizione

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di Francesco Roat

Domani i lettori troveranno in libreria una nuova puntualissima traduzione ‒ a cura di Susanna Mati ‒ de L’Anticristo di Nietzsche, edito da Feltrinelli. Questo saggio nicciano dal tono enfatico, polemico e veemente venne scritto in un breve lasso di tempo a Torino, nel 1888: anno di produzione frenetica che vede portare a termine dal Nostro pure il Crepuscolo degli idoli, Nietzsche contro Wagner, Ecce Homo e i Ditirambi di Dioniso. Tutti testi scritti poco prima della crisi esiziale che avrebbe precipitato il filosofo in una follia da cui purtroppo non si sarebbe più riavuto. Ne L’Anticristo Nietzsche, come preannuncia il titolo, si scaglia dunque contro la religione cristiana, colpevole ‒ a suo dire ‒ non solo d’aver sempre “preso partito per tutto ciò che è debole, basso, malriuscito”, ma soprattutto del fatto di disprezzare la vita privilegiando il cosiddetto aldilà, col risultato d’alienare l’uomo da se stesso. Va però precisato come, secondo il filosofo di Röcken, non fu Gesù a inventare il cristianesimo bensì Paolo, con la trovata del sacrificio espiatorio del figlio di Dio, indispensabile per ottenere la remissione dai peccati. Per non parlare della dottrina basilare cristiana, ossia la resurrezione: “con cui viene aggirato l’intero concetto di “beatitudine”, la piena e unica realtà del Vangelo – a favore di uno stato dopo la morte!”

Al di là di queste considerazioni tuttavia sorprende come L’Anticristo esprima un giudizio che finisce col risultare paradossalmente positivo, anzi persino elogiativo su Gesù e sul suo modo esemplare di comportarsi. Ad esempio così scrive Nietzsche in merito al Nazareno: “Si potrebbe, con una qualche tolleranza nell’espressione, chiamare Gesù uno “spirito libero” – non se ne fa nulla di tutto ciò che è saldo: la lettera uccide, tutto ciò che è fermo uccide. Il concetto, l’esperienza “vita”, che egli sola conosce, si oppone per lui a ogni specie di parola, formula, legge, credenza, dogma. Egli parla solo di ciò che è più intimo: “vita” oppure “verità” oppure “luce” è la sua parola per ciò che è più interiore, – tutto il resto, l’intera realtà, l’intera natura, la lingua stessa, ha per lui il mero valore di un segno, di un’allegoria”.

Tali affermazioni elogiative/comprensive riferite all’eccellenza “di questo grande simbolista” testimoniano come la peculiarissima spiritualità del Nostro risulti vicina a quella dei mistici cristiani. Lo stesso Giorgio Colli ‒ rifacendosi ad esse ‒ parlò persino d’una sorprendente affinità di linguaggio tra Jacob Böhme e Nietzsche. Gesù, insomma, viene considerato dal Nostro in modo assai differente rispetto alla religione che da lui prende il nome, la quale, a detta del sedicente Anticristo, risulta comunque dal tutto avulsa rispetto alla realtà che il cristianesimo svaluterebbe e a cui preferisce immaginarie surrealtà (Dio, anima, vita eterna), facendo propria una psicologia idiosincratica verso tutto quanto risulta naturale/passionale, nonché autopunitiva nelle ansiogene fobie/ossessioni del credente per il peccato, il rimorso o il timore del giudizio divino. Però dice bene Susanna Mati nella sua postfazione (vero e proprio saggio sul filosofo di Röcken) al libro; a mano a mano che il testo procede: “cresce un Nietzsche sottile, sfumato, estremamente tollerante, un Nietzsche-nuance; un Nietzsche, quest’ultimo, meno vistoso, più segreto, e anche molto più equanime di quanto la sua maschera polemica di commediante gli imponga, nel suo anno fatale”.

Resta che l’Anticristo rappresenta pur sempre una critica estrema e impietosa nei confronti dell’evangelo cristiano, messo al bando senza riserva alcuna dal filosofo tedesco ‒ sostenitore semmai dell’anti-vangelo promosso dallo Zarathustra nicciano ‒ in quanto divulgatore di un’inammissibile prospettiva escatologica e modello negativo di pieno fraintendimento della parola/prassi di Gesù. Dichiara infatti Nietzsche: “la venerazione furiosa di queste anime totalmente fuori di sé non sopportò più quell’evangelica eguaglianza di ognuno in quanto figlio di Dio che Gesù aveva insegnato: la loro vendetta fu di innalzare Gesù in modo sfrenato, staccandolo da loro: proprio nel modo in cui un tempo gli ebrei avevano, per vendetta sui loro nemici, separato da se stessi il loro Dio, sollevandolo in alto. Il Dio unico e l’unico figlio di Dio: entrambi creazioni del ressentiment…”. Per concludere, infine, e ancora a proposito di vocaboli francesi, Nietzsche nell’Anticristo ne utilizza un altro: décadence-Religionen, a indicare quelle che lui chiama religioni della decadenza, ovvero il buddhismo e il cristianesimo; con questa differenza però: che “quella di Paolo” sarebbe “la peggiore di tutte”.

F. Nietzsche, L’Anticristo. Maledizione del cristianesimo, a cura di S. Mati, Feltrinelli, Milano 2018, pp. 144, € 8,00

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