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Lo Zibaldone

L’altrove nella poetica di Corrado Calabrò

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Il 15 ottobre scorso, in occasione della pubblicazione, si è tenuta a Roma, al Circolo Canottieri Aniene, alla presenza del Professor Corrado Calabrò, la presentazione del saggio del Critico letterario Fabia Baldi dal titolo L’altrove nella Poetica di Corrado Calabrò. Edito dalla editrice Aracne, il saggio è puntuale, definirei avvincente, ed esaustivo, anche se ritengo che mai si possa esaurire il senso, l’anima, di una sostanza magmatica sempre fluida continuamente rinnovellata di novella fronda come la Poesia.
Durante una serata soffusa da una magica atmosfera è emersa la grandezza della Poesia di Corrado Calabrò (Reggio Calabria, 1935).
Calabrò, insigne giurista e Presidente dell’Agcom, poeta fin da ragazzo, poiché si discostava dai canoni seguiti dagli allora maitre à penser, fu messo in un angolo e ottenne grandissimi successi all’estero, in una ormai ultrasessantennale attività poetica, e tantissimi riconoscimenti e traduzioni in vari Paesi tra i quali la Francia dove pubblicò la prima raccolta di versi.
La Poesia del Nostro si discostava dalla stagione della sperimentazione, ma in fondo l’uso che il Poeta fa di termini e concetti concernenti l’Astrofisica, sua grande passione da sempre coltivata, al linguaggio di Internet, non sono anch’essi una sorta di sperimentazione? Si è accostato Calabrò a Lucrezio che nel De rerum natura ha trasfuso la materia e la scienza di allora in sublime Poesia.
Molti critici hanno visto quali elementi essenziali della poetica di Calabrò il mare, elemento equoreo vitale sempre presente che avvolge come liquido amniotico il Poeta fin da quando ragazzo durante le vacanze si spingeva a nuoto talmente lontano dalla riva da essere solo nel profondo blu. E poi l’amore, la passione, la mancanza dell’amata che si fa struggente. E l’immensità siderale.
Ma se già questi elementi sono presenti nella Poesia del Nostro, ecco che Fabia Baldi esplora la poetica sotto l’aspetto dell’altrove. Ma, oserei, il mare infinito scaglioso blu non è già un altrove, una dimensione altra che ci riporta a quel brodo primordiale all’origine della vita sulla Terra?
Poesia spontanea ma sorvegliatissima, dalla tecnica raffinata, come sottolinea Enrico Tiozzo nella Introduzione, essa si rivolge verso l’assoluto. Dice Calabrò che la Poesia cerca di dire in modo indiretto, allusivo ma non finto, quello che attinge dall’inesplicabile voce dell’inconscio, per disvelare così la dimensione dell’essere, dell’altro noi stessi che è in noi. E ancora: è un tentativo di trait d’union tra l’esistere e l’essere. Egli sostiene che la poesia è forse un altrove. Ma cos’è l’altrove? Sostiene Baldi non essere solo un luogo fisico altro, quanto come piano speculare della realtà percepibile con i cinque sensi, dimensione metafisica e spirituale, onirica e visionaria, affascinante e illusoria, canto di Sirena che spesso accompagna alla soglia di una revelatio.
Scrive M. Yourcenar: sembra esserci nell’uomo, come negli uccelli, un bisogno di migrazione, una vitale necessità di sentirsi altrove. Questo istinto spinge non solo oltre ma nel profondo del nostro essere. L’inquietudine spinge l’uomo ad andare oltre, cercare, scavare in sé in consonanza con le vibrazioni dell’essere. Ma l’inquietudine lo spinge anche a superare i limiti, interiori e fisici. Si pensi all’Ulisse dantesco, alla brama di conoscenza, all’orazion picciola per spronare i compagni ormai canuti e stanchi verso il folle volo, verso la fine del mondo. Considerate vostra semenza/ fatti non foste per viver come bruti/ ma per seguir virtute e canoscenza. Sostiene Baldi che l’altrove è presente fin dalle origini della poesia.
Altrove è anche un luogo altro dalla Terra, la Luna, il Cosmo che in Calabrò si dispiega in continui riferimenti all’Astrofisica. E’, più che la passione per il mare, la passione per il Cosmo che si riversa nella poesia di Calabrò a dare l’input per la composizione poetica. Così nel poemetto Roaming contenuto nell’antologia Quinta dimensione (Mondadori) che deriva il nome dal verbo to roam ( vagare senza destinazione) affine a to wander e al tedesco wanderung da cui wanderer (viandante), parola – chiave del Romanticismo tedesco. Come un viandante nell’infinitudine del Cosmo passeggero sulla Terra tirata or quinci or quindi dalla forza gravitazionale del Sole. Si è in uno stato di disorientamento spaziale e temporale. Scrive Calabrò che noi siamo le nostre abitudini e se si stravolgono queste noi chi siamo? Lo sbigottimento per non trovare un punto d’appoggio e vagare nell’Universo emerge in molte composizioni del Poeta. Altrove come luogo del disorientamento. Il Poeta, sostiene Baldi, vuole perdersi, spogliarsi della quotidianità, degli orpelli che lo tengono legato alle abitudini. Da un lato quindi la paura di perdersi nell’infinito, dall’altro la ricerca dello spaesamento.
Eminenti scienziati italiani, tra i quali il fisico Giorgio Parisi, sostengono che poeti e scienziati sono mossi dalla volontà di conoscere, sapere, perché poesia e scienza rispondono alla necessità di sapere come sono fatte le cose, la natura, l’universo.
Altro elemento di poesia è il fascino del misterioso esercitato dal Cosmo, dall’infinito e anche dal mare, elemento primigenio con cui il Poeta entra in simbiosi abbandonandosi al suo abbraccio. Quel mare dal quale, ha detto più volte Calabrò, vorrebbe essere accolto nell’ultimo istante della vita.
L’altrove come luogo del vuoto. E’ l’horror vacui della fisica aristotelica a spingere l’uomo alla ricerca in un anelito di infinito. Per Sant’Agostino, sostiene Baldi, il vuoto è mancanza; per Schopenhauer il vuoto si sovrappone al nulla come in Nietzsche tanto caro a Calabrò. Mentre la meccanica quantistica considera il vuoto popolato di particelle che interagendo generano energia. Baldi stigmatizza la compresenza nella poesia del Nostro di due filoni della trasposizione lirica del concetto di vuoto. La prima rappresentata da Pascoli in cui il vuoto genera inquietudine e anche terrore. D’altro canto Leopardi che vorrebbe annegare nell’infinito (e il naufragar m’è dolce….). In Calabrò il vuoto viene declinato in varie elaborazioni nutrite da vastissime conoscenze scientifiche, filosofiche e letterarie. Così il vuoto come espressione di perdita dell’amore, di abbandono da parte della donna amata.
L’altrove – luogo altro della corporeità/materialità: sonno, sogno, fantasia, visione. A tal riguardo ci illumina Calabrò sostenendo che la poesia rende visibile ciò che va oltre l’abitudinarietà. La percezione della realtà è illusoria, parziale. Mi permetto una riflessione. Ciò che l’uomo percepisce con i sensi elaborato dal cervello, non è uguale a ciò che percepisce una farfalla o un cane o un gatto. Se noi percepiamo onde che passano al vaglio del sistema nervoso come possiamo essere certi che la realtà sia quella e non un’altra e che ci siano altre realtà, altrove in altre dimensioni? Penso a Montale e alla concezione della poesia espressa in Ossi di seppia. Non chiederci la parola che squadri da ogni lato/ l’animo nostro informe (…..) Non domandarci la formula che mondi possa aprirti (……). Codesto solo oggi possiamo dirti,/ ciò che non siamo. Ciò che non vogliamo.
In ogni processo di conoscenza, come quello onirico, sostiene Baldi, si può rischiare di incontrare qualcosa che perché sconosciuto può destabilizzare. Cita Popper: La consapevolezza non inizia con la cognizione o la raccolta di dati e fatti, ma con i dilemmi.
Per Calabrò si ha paura del sonno come si potesse scivolare in una dimensione altra. E il sonnambulismo rappresenta come uno stato di trance, il passaggio ad un mondo parallelo. E l’insonnia spesso è legata alla assenza della donna amata. Il sogno rimanda all’oniromanzia, l’interpretazione nell’antichità. Penso al rito dell’incubazione che si svolgeva nell’antichità, anche in Sardegna, in prossimità delle tombe collettive, luoghi sacri.
L’insonnia rimanda anche ai veggenti ciechi e ai Vati. Si pensi a Omero cieco non perché lo fosse realmente ma perché aveva la capacità di vedere oltre, cogliere nel profondo di sé, percepire ciò che gli altri uomini non erano in grado di cogliere.
In Calabrò l’altrove è luogo dell’amore. Amore concepito, sentito e vissuto come unione di due metà secondo il mito platonico espresso nel Simposio. Viene così declinato in vari modi il concetto dell’incompletezza dell’essere umano. La donna amata è quindi anch’essa un altrove da sé cui il Poeta anela ricongiungersi per essere felice. Il raggiungimento dell’unione è come l’approdo ad uno stato di calma e pienezza dell’amore. La donna è per il Poeta fonte di voglia di vivere e di ispirazione poetica. L’altrove è presente anche nel romanzo Ricorda di dimenticarlo (Newton Compton) col quale l’Autore fu finalista al Premio Strega. Quando la ricerca dell’altrove fallisce e l’amore finisce il Poeta si trova come ingabbiato in un labirinto senza uscita che mi fa pensare alle realizzazioni di Escher.
Il volume è arricchito da un’esplicativa intervista al Poeta che tocca le pieghe del proprio vissuto disvelandoci l’origine della sua Poesia. Sul sentimento dell’altrove, secondo Calabrò, avrebbero certamente influito le estati dell’infanzia e della fanciullezza vissute in solitudine e totale libertà sullo Stretto, in un possedimento della famiglia. E’ lì che nasce la voglia di vivere e il senso di libertà determinati dalla presenza del mare, fra Scilla e Cariddi, luogo del mito e delle origini della Poesia. Poesia come altrove anch’essa in un mondo in cui dominano i mezzi digitali, ma Calabrò ha scritto anche delle poesie in forma di sms, e anche rispetto alla professione giuridica esercitata dal Poeta.
La terza parte del saggio è una raccolta interessantissima di scritti critici che ci mostrano la considerazione per la grandezza della poesia di Calabrò. Egli è stato più volte candidato al Nobel.
Un lavoro, quello di Fabia Baldi, che esplora l’universo poetico di Calabrò fornendo una lettura a tutto campo. Emerge una profonda accuratezza e conoscenza della materia, capacità mimetica che le permette di mostrarci la Poesia del Nostro ab intus, così come si viene elaborando nella mente e nell’animo del Poeta. Baldi realizza un lavoro che fornisce, come Calabrò merita, un essenziale e validissimo contributo critico alla comprensione di un Poeta unico nel panorama letterario.
Un saggio che si può leggere come un romanzo e che invoglia ad approfondire la conoscenza di un Poeta e di un uomo che ha scritto rivelando e rivelandosi conducendoci nella dimensione infinita, altra, eterna della Poesia.

di Cesira Fenu

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