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Editoriale. Lacrime di coccodrillo

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Chiediamocelo. Come abbiamo fatto, noi italiani, a dare fiducia a questi personaggi politici inadeguati, che con i loro comportamenti disinvolti e le loro azioni truffaldine continuano a riempire le pagine dei giornali e le cui facce arroganti continuano a monopolizzare gli schermi della televisione? Come abbiamo fatto a votarli? A sommergerli di preferenze? Qual è stata la parte del programma elettorale che ci ha convinti a sostenerli? È stata la loro proposta politica, che sembrava voler garantire alla nostra Italia, alle nostre regioni e alle nostre città il miglior futuro possibile? Cosa aveva di speciale il loro nome, che abbiamo scelto (quando ci è stato permesso) su una lunga lista nella quale ci saranno state anche persone perbene?

Il programma che avrebbero attuato era chiaro soltanto a loro. La mission politica era il riscatto. Non del Paese, ma personale. Che bella occasione per andare in vacanza su un atollo o in un resort superstellato e lasciare i propri elettori sulle spiagge libere di Ostia o di Milano Marittima! Che rivalsa sociale gustare ostriche e sorseggiare champagne! Tutto questo non sarebbe scandaloso se i costi non gravassero sui contribuenti. Qualcuno è riuscito a cenare contemporaneamente in più ristoranti mentre c’è gente che fatica a mettere in tavola un piatto per il pranzo. Quanti di questi privilegiati tracotanti sono stati colti con le “mani nel caviale”! Spese pazze e illegittime, vitalizi, stipendi d’oro, prebende, rimborsi per frequentare sagre delle rane, del peperoncino, della nocciola… Una patologia che ha raggiunto dimensioni inquietanti (Walter Mapelli e Gianni Santucci, La democrazia dei corrotti, Rizzoli).

E se poi, sperperando di qua e di là, finiscono i soldi e si svuotano le casse pubbliche, eccoli a recuperare qualche altra disponibilità tagliando i servizi sociali, chiudendo ospedali, facendo lievitare i ticket sanitari, aumentando il bollo per le auto e il prezzo del biglietto per il trasporto pubblico. E così i servizi collettivi e sociali diventano scadenti, l’involuzione della società è assicurata e si impoverisce il tenore di vita dei cittadini.

I gruppi consiliari della Regione Sardegna spendono in un anno 5,7 milioni di euro (la Giunta e il Consiglio per il funzionamento consumano 101,7 milioni) mentre gli operai dell’isola, nella speranza di conservare il lavoro, occupano le miniere e scalano le torri degli stabilimenti. Ma la Sardegna nell’elargizione di fondi è soltanto quinta in classifica: sul podio la precedono Lazio, con 13,9 milioni di euro, Lombardia, con 10,7, Sicilia, 8,1, Piemonte, 7,1. Una pioggia di soldi pubblici. Certo fa bene il presidente Napolitano a precisare che “bisogna saper vedere tutti gli aspetti di determinate istituzioni e non cogliere solo il lato negativo di malcostume”. Ma questi milioni non si potevano spendere per attenuare il disagio sociale alimentato dalla chiusura di fabbriche, uffici, negozi? A Napoli, citiamo un settore che conosciamo più degli altri, dal 2011 a oggi hanno spento le luci ben venti librerie.

Non versiamo però le solite lacrime di coccodrillo.

Se ci vergogniamo del malcostume ma crediamo nell’Italia e nei suoi molti cittadini onesti, allora facciamo qualcosa. Impegniamoci, manifestiamo il nostro pensiero, portiamo avanti la nostra testimonianza civica affinché l’Italia possa voltare questa pagina indecorosa della sua storia recente. E perché il “futuro non sia semplice ripetizione del presente” (Gustavo Zagrebelsky, Simboli al potere, Einaudi) dobbiamo emarginare questa gentaglia e non permetterle l’accesso alla res publica. Rivendichiamo un’inversione di tendenza, un ulteriore taglio della spesa pubblica, un cambiamento radicale della politica, un riequilibrio fiscale, una gestione sobria e trasparente delle istituzioni e delle strutture pubbliche, chiediamo leggi che possano frenare la corruzione (Gherardo Colombo e Franco Marzoli, Farla franca, Longanesi), esigiamo la cancellazione degli apparati parassitari. Tutti noi che abbiamo affrontato con serietà, responsabilità e sacrifici l’austerità economica vogliamo che venga impressa una svolta al Paese. Lettori, scrittori, editori, intellettuali, manager della cultura, con la forza che gli deriva dalla loro moralità e credibilità, devono esercitare la propria influenza sulla società, devono essere portatori di istanze per un’indifferibile riforma della politica. Le élites intellettuali, che in alcuni frangenti storici vivono ingiustificabilmente nascoste, devono assumersi oggi la responsabilità del proprio status (Carlo Galli, I riluttanti, Laterza).

D’ora in poi guarderemo in faccia chi si propone per governare sia il Paese sia il Municipio e non cederemo alle lusinghe dei pifferai magici, valuteremo la fattibilità dei programmi. Non ci faremo incantare da quelli che urlano forte e che vorrebbero interpretare il nuovo ma che non sono diversi dai vecchi. Insomma, non ci fermeremo alle apparenze perché, come diceva Ennio Flaiano, “il cretino è pieno di idee” (Gino Ruozzi, Ennio Flaiano una verità personale, Carocci) ma che non vanno nella direzione giusta.

Non faremo scelte legate all’anagrafe ma all’onestà, alla saggezza, alla competenza e alle capacità di chi ha capito che far politica non deve essere una rendita per la vita e neppure un mestiere bensì un piacere, una vocazione, una passione civile, un “servizio alla speranza individuale e collettiva” (Giorgio La Pira).

Giuseppe Marchetti Tricamo

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