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Lo Zibaldone

La Settima Lettera di Platone: un manifesto per il buon governo

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Di Stefano Bassi

Tra il 388 e il 360 a.C. Platone si reca tre volte a Siracusa. Qui fa amicizia con Dione che si dimostra molto interessato alla dottrina filosofica di Platone, a tal punto da volerla insegnare al tiranno Dionisio II, giovanissimo erede al trono dopo la morte del padre Dionisio Il Vecchio. Dione chiede a Platone di aiutarlo nell’impresa. L’obiettivo è ambizioso: insegnare la virtù, la giustizia e il buon governo a un tiranno giovane per farlo diventare un “re filosofo”. Siracusa divenne, quindi, il laboratorio politico in cui tentare di mettere in pratica la propria dottrina filosofica. Le congiure di corte e la situazione politica turbolenta di Siracusa, però, non permetteranno a Platone di realizzare il suo piano ma, raccontandone i dettagli in questa lettera rivolta ai familiari di Dione, il filosofo greco ci restituisce un saggio sulla sua dottrina politica, estremamente chiara e umile, ricca di consigli utili ancora oggi a chiunque si trovi nella posizione di governo.

Il sogno, forse utopico, di Platone era quello di realizzare una perfetta sincronia tra governante e buon governo. Un buon governante è colui che non agisce per interesse personale e ha come fine il bene comune. Per questo, afferma Platone, occorre che i governanti siano anche filosofi perché è proprio la filosofia che permette di unire il ragionamento virtuoso sull’utile, il buono e il giusto. Il piano di Platone fallì nella sua epoca ma ancora oggi sono poche le persone impegnate nella riflessione filosofica etica a impegnarsi anche in politica. La politica, oggi come allora, è vista come un terreno scivoloso dove è facile abbassarsi a compromessi e macchiare la propria rettitudine morale e intellettuale.

Ma la politica non può e non deve essere vista come una pratica negativa. Anzi, la politica nel suo senso più profondo è anche giustizia. Platone sognava uno Stato ideale dove non fosse ammessa l’ingiustizia. In nessun luogo sarebbe potuto più accadere che uno Stato permettesse la condanna a morte di un innocente, come avvenuto in Atene per il suo maestro Socrate.

Si mise in testa di cambiare il mondo pensando, forse ingenuamente, che sarebbe bastato educare un tiranno alla virtù per convertire un’intera comunità alla democrazia.

Scoprì che non bastava ma ciò di cui Platone non si è mai pentito è l’averci provato. Il filosofo greco non ammetteva, infatti, che un filosofo fosse solo teorico. Occorreva mettere in pratica le proprie idee: “Se non fossi partito, sarei apparso, persino a me stesso, come un uomo bravo solo a parole, incapace di tradurre in atti le proprie intenzioni”.

La Settima Lettera di Platone, nuovamente tradotta da Francesca Cupido per i Classici di Primiceri Editore, rappresenta così un’indelebile testimonianza su come sia la filosofia, con il suo muoversi in tutti i campi, a tenere ancora vivo il mondo.

 

 

PLATONE

LA SETTIMA LETTERA

Traduzione di Francesca Cupido.

Saggio introduttivo di Salvatore Primiceri.

Copertina di Ivan Zoni.

Collana I Classici

Primiceri Editore, Padova, 2020.

€ 8.00

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