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La quiete della mente

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di Francesco Roat

Il grande pensatore indiano Jiddu Krishnamurti (1895-1986) fin dalla giovinezza era già stato ritenuto da moltissimi simpatizzanti/ammiratori un vero e proprio guru. A quindici anni venne adottato e quindi portato in Europa da Annie Besant ‒ a quel tempo presidentessa della Società teosofica: un’organizzazione internazionale dedita allo studio ed alla divulgazione delle cosiddette scienze a carattere esoterico ‒ che lo riteneva l’ultimo iniziato vivente ed un grande maestro religioso: alla pari del Buddha, di Mosé, Gesù e Maometto. La Besant successivamente creò l’Ordine della stella d’oriente ‒ al quale aderirono oltre centomila adepti ‒ imperniato sulla figura di Krishnamurti. Questi però, una volta fattosi adulto, decise di rifiutare risolutamente tale ruolo, sciogliendo l’Ordine ed invitando altresì i suoi ex discepoli a non sottomettersi mai ad alcuna autorità: religiosa o laica che fosse.

Il risultato fu quello di attrarre ‒ un po’ ovunque egli soggiornasse: tanto in Occidente quanto in Oriente ‒ via via sempre nuovi seguaci, nei confronti dei quali comunque il filosofo indiano non volle più porsi come guida spirituale ma come una sorta di Socrate indiano: in grado, maieuticamente, di far nascere la verità dall’interlocutore. Egli d’altronde, durante la sua lunga vita, non aderì, né invitò ad aderire a questa o a quella professione fideistico-religiosa, presentandosi semmai al suo sempre vasto/attento uditorio come lo sprezzatore di ogni dogmatismo, di ogni ideologia, di ogni partito preso. Ciò che sempre gli stette a cuore fu piuttosto far giungere ognuno alla conoscenza di sé e a sperimentare la vita in modo autentico e diretto, senza l’interferenza di apriorismi, condizionamenti, stereotipi.

Krishnamurti scrisse moltissimo. In Italia la Casa Editrice Astrolabio-Ubaldini di questo autore ha dato alle stampe una quarantina di testi. L’ultimo libro pubblicato ‒ dal titolo: La quiete della mente ‒ si divide in tre parti. Nella prima vengono affrontate le tematiche del sé, della realtà interiore, dell’autocoscienza, della comune propensione al dualismo e a cosa significhi davvero la libertà. Nella seconda, all’insegna di quello che dovrebbe essere l’apprendimento autentico, viene messa in discussione la pedagogia tradizionale/dominante, basata sulla mera acquisizione di contenuti conoscitivi, e si precisa cosa intende l’autore per intelligenza. Infine nella terza sezione del libro, intitolata Meditare, si prendono in considerazione temi da far tremar le vene e i polsi, quali appunto cosa significhi/comporti la meditazione, cosa implichi nella prassi esistenziale un atteggiamento religioso e, non da ultimo, come svuotare la mente da pensieri, concetti ed elucubrazioni di qualsivoglia genere.

Essendo un mistico, Krishnamurti ci suggerisce essenzialmente di abdicare alla supponenza velleitaria dell’ego, invitandoci alla semplicità di atti e sguardi da lui definiti puri, cioè non contaminati da desideri e/o avversioni. “È l’occhio limpido che vede e il cuore puro che ascolta” ‒ scrive infatti quello che alla fin fine, per i suoi discepoli è sempre rimasto un guru ‒. “Vedere e ascoltare attraverso l’io è una cosa, poiché l’io corrompe e distorce. Altra invece è vedere e ascoltare senza l’interferenza dell’io: semplicemente vedere e ascoltare, dal silenzio del nulla. Nella completa negazione c’è un agire totale”.

Si tratta, insomma, di fluire con la vita non opponendole una resistenza fatta di aspettative o timori; senza attaccarsi a nulla, in quanto: “Quando rimaniamo aggrappati alle cose soffriamo”. E di prendere congedo una volta per tutte dall’idea illusoria che vi sia una qualche procedura/panacea terapeutica, spirituale o meno, in grado di affrancarci da tutto quanto noi consideriamo un male: sia esso di carattere fisico o psichico, individuale o collettivo. Ma “la libertà” ‒ scrive ancora l’autore ‒ “è proprio la negazione di tutti i sistemi e i metodi che promettono libertà. Svuotare la mente dal positivo delle formule, dagli ideali e della ricerca dell’utopia è l’azione più positiva che si possa compiere, l’unica tramite cui possa attuarsi una rivoluzione essenziale”.

Infine, almeno un accenno alla meditazione, qui vista come tutt’altro che un ritirarsi dal mondo o un isolamento solipsistico. Anzi essa permette semmai la comprensione globale di quello che è il vivere l’ordinaria quotidianità del qui e ora, intessuta com’è di mutamenti, gioie e dolori, acquisizioni e perdite. Meditazione, per Krishnamurti, è vivere appieno il presente svuotando la mente dalle incrostazioni del passato e dalle speranze o dai timori del futuro. È guardare all’esistenza senza più scinderla tra l’osservatore e la cosa osservata, attraverso una spontaneità/naturalezza che ridiviene innocenza bambina, capace di stupirsi nei confronti della vita, che è pur sempre ‒ osserva il Nostro ‒ un movimento di straordinaria bellezza.

Jiddu Krishnamurti

La quiete della mente.Vivere, apprendere, meditare

Astrolabio-Ubaldini Editore, 2021 pp. 229, euro 21,00

 

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