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La nave faro
di Giovanni Graziano Manca
Romanzo breve quanto intenso e intrigante, quello dello scrittore, giornalista e documentarista olandese. Un intreccio sviluppato con rara maestria, una storia che in qualche modo ricalca la migliore letteratura di mare (Conrad, Melville) in grado di veicolare, attraverso dinamiche narrative che stimolano l’attenzione del lettore, i più densi e profondi messaggi umanistici. Lammert è il cuoco di bordo della Texel, nave che ha per unico scopo quello di indicare la via alle imbarcazioni che transitano nella zona. La nave faro e l’equipaggio che vi presta servizio vivono (soffrono di) un certo immobilismo: come in una sorta di galleggiante “Fortezza Bastiani” , gli uomini passano il tempo sempre di guardia ma perennemente all’ancora. In questa nave tagliata innaturalmente fuori da ogni rotta, il destino degli uomini è quello di non viaggiare per raggiungere mari lontani e porti stranieri. Per l’equipaggio della Texel può costituire avvenimento di notevole rilevanza anche l’insinuarsi a meno di trenta metri tra il proprio scafo e una delle proprie boe di segnalazione, di una nave rugginosa e malridotta dagli anni. Così Deen descrive il cambio della guardia dei marinai della Texel che “per prima cosa gettavano il sacco nella scialuppa che batteva contro la fiancata; quindi arrivava il momento in cui dovevano osare a loro volta il salto temerario dalla scala di corda, staccarsi dalla Texel e fuggire. Era un salto verso la libertà, lontano da quella prigione, lontano dalla malinconica inutilità di quella nave ancorata […]”. Durante le due settimane di riposo a terra, Lammert rilegge la ricetta dello stufato lasciata scritta da sua madre e riceve in regalo un capretto dall’unica contadina rimasta sulla collinetta del villaggio. Decide di fare del capretto uno stufato per l’equipaggio e lo conduce con se sulla nave. La presenza del capretto sulla Texel di per sé porta a cambiamenti, sia pur minimi, nell’ordine naturale delle cose a bordo. A ciò si aggiungono gli effetti di una nebbia fittissima che avvolge l’imbarcazione, impedisce la visibilità e contribuisce a creare un’atmosfera narrativa di grande suggestione e paura, se non di terrore. Tali circostanze turbano profondamente la già compromessa stabilità emotiva e mentale di Snoek, marinaio fragile e confuso, e quell’equilibrio delicatissimo che sovrintende al regolare funzionamento di ogni cosa, a bordo della nave del cui equipaggio, come dice Snoek, “La gente dice che noi non siamo marinai, perché non andiamo da nessuna parte. […] Ma noi qui siamo in mare più di tutti loro messi insieme. Noi viviamo in mare, loro lo attraversano soltanto per arrivare a un porto, a un posto dove il mare non c’è più. Per loro il mare è un intervallo, per noi è la destinazione.” Tra la narrazione marinaresca e il racconto dell’orrore, convincente prova letteraria, questa di Deen.
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