Leggere:tutti
La cura della parola
Una campagna per dare valore alla lingua italiana, nell’anno delle celebrazioni dantesche. Il contributo di Leggere:tutti in un prossimo numero del nostro mensile
di GIANNI ZAGATO
Appena sveglio, il giornale radio è la colazione mattutina dell’uomo moderno. Lontani echi hegeliani. E subito, via etere, è tutto smart, tutto short, il Covid è free, è quasi summer, è sempre school. Tra poco saranno summer school. La colazione, quella vera, va già di traverso; meglio spegnere. Ma non siete stanchi, anche voi, o sono io ad arrivare sempre in ritardo? E c’è via di scampo?
L’inglese, beninteso, è una nobile lingua. Beati quegli studiosi che si rompono il capo per tradurre l’intraducibile Joyce di Finnegans Wake. Li ho sempre invidiati. Perché la lingua, le infinite lingue del mondo, restano ancora uno dei pochi luoghi mai del tutto, e mai definitivamente, esplorati del mondo medesimo. Non c’è forse ricerca più affascinante di questa. Per dire che il problema non è l’inglese (come ai tempi nefasti della Perfida Albione), è piuttosto quale inglese. Quello di Shakespeare, per dire, contempla 64mila lemmi; Virginia Woolf ne usa di meno, anche perché ha scritto di meno, ma si colloca sulla medesima scia. In ogni caso, è una lingua ricca, ricchissima di parole. Basti dire che l’Oxford English Dictionary ne raggruppa più di seicentomila.
Ho spento la radio, per una rabbia che sale e rischia di tracimare. Ma è un gesto inutile, lo so bene. La giornata è appena cominciata e l’inglese mi accerchierà. Ma è poi inglese? Sono 1500 parole, quelle che ci girano intorno in ogni istante del quotidiano. E sono, nell’ordine: commerciali, pubblicitarie, informatiche, sportive, e in fondo, ma tanto in fondo, anche scientifiche. Col paradosso che posso fare una sintesi di un testo scientifico senza essermi mai esercitato sul genitivo sassone. Diciamola tutta: posso andare spedito sull’abstract, ma fermarmi al primo rigo se leggo Auden.
La questione è che trascuriamo il nostro linguaggio, quello che adoperiamo e quello che subiamo. C’è poco da fare, se ci va bene la realtà che ci cresce attorno, teniamoci pure il linguaggio informatico e quello dei mass media (anzi, dei talk show, continuiamo pure a dire): la rappresenta in pieno. Ma se aspiriamo a cambiarla, dobbiamo tornare alla parola, poiché è la parola che crea il mondo in cui siamo. Non c’è mai stata trasformazione in nessuna delle epoche storiche umane, scientifica o culturale, sociale o economica, che non sia stata accompagnata dal sorgere di parole nuove. Nell’anno in cui celebriamo Dante (che usava 17mila lemmi, secondo la stima del grande linguista Bruno Migliorini), promuoviamo una campagna della rivista Leggere:tutti per la cura delle parole. Che sta diventando, sempre più, la cura necessaria alla grammatica del vivere.

You must be logged in to post a comment Login