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Cucina

La cucina toscana fra gusto e semplicità

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di Niccolò Lucarelli

La cucina toscana è quella che più di tutte in Italia ha conservate le sue radici medievali, fatte di semplicità e praticità, che ancora si ritrovano nel carattere stesso degli abitanti di questa regione. In fondo, siamo un po’ anche ciò che mangiamo, e la cucina che si può gustare nel Valdarno, nel Chianti, in Maremma o nella Valdera, rispecchia il pragmatismo del popolo toscano. Paolo Piazzesi, esperto di cultura gastronomica e già autore di volumi e guide in materia, licenzia un autentico manuale di gastronomia che attinge a quest’antica tradizione, riscoprendola attraverso pietanze di terra, di mare e d’acqua dolce, antipasti, minestre, zuppe, carni, pesci, contorni, uova, focacce, dolci: tutta la gamma delle categorie culinarie: una lettura piacevole, non soltanto “tecnica” ma anche narrativa; le ricette non sono descritte, infatti, ma raccontate, intercalate da approfondimenti su questo o quell’ingrediente, aneddoti sulle varianti locali, citazioni sulle orme della colta tradizione di  Leo Codacci, Zenone Benini (uomo politico ma anche gastronomo) e, naturalmente, Pellegrino Artusi, romagnolo di nascita ma toscano di adozione. Al lettore giunge quindi tutta la vitalità di una cucina semplice, ma gustosa, confortante, conviviale, capace di rasserenare l’animo dopo una giornata di fatiche. E se le fatiche contemporanee non sono nemmeno lontanamente paragonabili a quelle della civiltà contadina, restano comunque intatti profumi, sapori, sensazioni, attraverso i quali rivive idealmente proprio quella civiltà da cui con orgoglio discendiamo. In Toscana e non solo. Riscoprirne gli usi culinari significa anche riscoprire cibi più semplici che il consumismo ci ha fatto dimenticare, ad esempio i muggini o gli sgombri, ma anche le parti meno nobili del manzo o del suino. Piatti del territorio, legati a una logica di non spreco e di riutilizzo, all’interno di un’economia domestica che non aveva margini troppo ampi. Eppure, le donne di casa della civiltà contadina, o meglio che si dividevano fra i lavori di casa e quelli dei campi, sapevano trarre autentiche meraviglie da quello che avevano a disposizione.

A titolo documentazione, compaiono anche piatti quasi scomparsi come i ranocchi fritti o in umido, oppure le “cèe” (avannotti d’anguilla) decantate dal Fucini, indicativi di una cucina che sapeva fare “di necessità virtù”, trasformando in prelibatezze ingredienti assai poveri. Fra questi, anche le famigerate frattaglie, capaci di risolvere con poca spesa il pranzo o la cena di una famiglia numerosa. Non mancano però, per le occasioni solenni, o comunque per la mensa dei ceti più abbienti, piatti nobili come il fagiano e la faraona, arrosto, al forno, con il tartufo, che all’occorrenza poteva impreziosire anche un piatto di “pici” (i caratteristici spaghettoni tirati a mano tipici del senese e dell’aretino). Un tripudio di sapori e profumi che non è soltanto un godimento dei sensi, ma anche un elemento di identità e cultura.

 

Paolo Piazzesi

Il fiore della cucina toscana (vol. I e II)

Sarnus 2020-21

pp 152, Euro 15,00 – pp. 168, Euro 15,00

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