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Non solo libri

La città in scena. Un dialogo su Napoli e altri teatri

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di Bernandina Moriconi

Non capita di frequente che uno scrittore di indiscusso talento , Paolo Di Paolo, intervisti un regista altrettanto talentuoso, Mario Martone. Si poteva capovolgere la situazione e il risultato sarebbe stato parimenti interessante. L’incontro dal titolo “La città in scena. Un dialogo su Napoli e altri teatri” si è svolto sabato 8 gennaio al Mann di Napoli nell’ambito del Festival  Salerno Letteratura. Paolo Di Paolo, tra i candidati alla direzione della rassegna fondata da Francesco Durante prematuramente scomparso, ha spiegato che in occasione del decennale la rassegna letteraria salernitana vuole infatti aprirsi ad altri luoghi e ad altri campi della creatività a cominciare da quella teatrale: uno sconfinamento di cui un assaggio gustoso è stato appunto quello nel Museo Archeologico che grazie all’eclettismo del direttore Paolo Giulierini si è trasformato in fucina inarrestabile di eventi e progetti artistici e culturali.

Torniamo all’incontro, nel corso del quale Martone, sollecitato dalle riflessioni di Paolo Di Paolo, si è raccontato con sincerità e autoironia, parlando del suo rapporto con Napoli e indugiando sul carattere mai esclusivo o conclusivo dei suoi interessi: ogni opera letta, ogni lavoro realizzato, ogni autore incontrato diventa l’occasione di aggancio e approfondimento per un altro lavoro da mettere in campo. Un cantiere creativo, insomma, che lo ha stimolato nel corso degli anni a cimentarsi oltre che col teatro, da cui è partito, col cinema e l’opera lirica. “Pietre di inciampo” definisce Martone queste occasioni stimolanti e inventive che variano e arricchiscono il suo percorso artistico. Così, per esempio, dalla curiosità di indagare e conoscere le zone oscure e gli aspetti meno celebrativi del nostro risorgimento nacque una ricerca sull’800 durata sei anni che portò alla realizzazione del film Noi credevamo, ma anche a imbattersi nella figura di Giacomo Leopardi, scoprendo la teatralità del poeta recanatese e decidendo poi di girare un film su di lui. Pertanto  tre film che potrebbero sembrare una trilogia incentrata su giovani ribelli dell’Ottocento italiano (Noi credevamo, Il giovane favoloso e Capri-Revolution) costituiscono, ha spiegato Martone, il frutto di un percorso di approfondimento non organico e non organizzato, che procede piuttosto attraverso inciampi, curiosità, anche errori. E questa prassi operativa vale anche per le opere teatrali e liriche. D’altra parte, sempre cogliendo occasioni e sollecitazioni varie, avvenne il passaggio al cinema dopo le esperienze teatrali di Falso movimento e Teatri Uniti. Martone scoprí infatti di aver vissuto gli anni della prima infanzia nel palazzo napoletano in cui aveva abitato il grande matematico Renato Caccioppoli finito suicida all’età di cinquantacinque anni.  Questo il dato di partenza che lo indusse a conoscere e approfondire la figura del matematico e da qui l’idea di un film, nella cui sceneggiatura volle coinvolgere la scrittrice Fabrizia Ramondino, inizialmente perplessa nell’avvicinarsi alla scrittura scenica a lei estranea e poi fortemente coinvolta nel lavoro, e la decisione di raccontare non l’intera vita, come avrebbero voluto i produttori, ma solo l’ultima settimana della tormentata esistenza dello scienziato, il che lo costrinse ad autoprodursi la pellicola pur di portare avanti il suo progetto.

Di Paolo  nel corso dell’incontro ha definito con felice espressione  “apprendistato condiviso” il modus operandi di Mario Martone, che ama indugiare sulle zone d’ombra, lavorare su ciò che non sa, coinvolgendo lo spettatore nel suo stesso percorso: perché per seguire i suoi spettacoli – teatrali o cinematografici – non è necessario sapere, basta seguire la suggestione di un racconto.

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