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Jhumpa Lahiri e Roma: un amore indissolubile
di Anna Trapani
La scrittrice nata a Londra e cresciuta negli USA da genitori bengalesi ha fatto ormai da vari anni di Roma la sua città di adozione tanto da vivere tra l’Urbe e New York. Ha fatto sua la cultura italiana e soprattutto la letteratura. E il suo ultimo libro scritto in italiano lo dimostra ampiamente. “Racconti romani” anch’esso edito da Guanda già nel titolo riecheggia Moravia da lei amato come tutta la nostra produzione letteraria del Novecento. Ma lo stile e gli argomenti trattati nei racconti sono assolutamente suoi, non riproducono in modo falso e artefatto la tecnica, le ambientazioni di nessuno. Il tema principale è lo sradicamento, il non sentirsi pienamente accettati e in taluni casi proprio rifiutati anche con aggressività e violenza in una città apparentemente accogliente che da tanto è multietnica e che però stenta ad ammetterlo e accettarlo. I protagonisti dei racconti, alcuni dei quali di ampio respiro, sono quasi tutti, ma non mancano gli “autoctoni”, poveri immigrati, donne lontane dalla loro terra che fanno umili lavori, ragazze figlie di immigrati non capite né accettate dai compagni di scuola anche se si sentono italiane quanto loro e invidiano il loro modo di vivere, ma anche professioniste affermate che per il colore della pelle vengono ugualmente relegate in un limbo di non accettazione strisciante, mai urlato e palesato apertamente, ma non per questo meno violento e doloroso. Alcuni dei nove racconti si svolgono attorno ad una scalinata in un quartiere borghese di Roma dove i giovani bivaccano dopo la scuola, i cittadini romani o immigrati salgono e scendono per tornare alle loro case o recarsi al lavoro e gli ubriachi lasciano la notte una prateria di bottiglie di vetro rotte che nessuno porta via. La città si appropria così della scena perché fa da palcoscenico agli avvenimenti tristi o malinconici che si dipanano nelle vite dei personaggi i quali non hanno mai un nome e cognome: non ne hanno bisogno, sono vivi, reali anche senza poiché archetipi di una moltitudine di individui. Ciò accomuna nel narrare dell’autrice stranieri e romani, tutti “signor nessuno”, perché ci rappresentano uno per uno, in quella recita che è la vita di ciascuno. In “La riunione” due vecchie amiche “la signora in lutto” romana e la sua amica professoressa universitaria dalla carnagione scura che ritorna spesso a Roma per studiarne la storia antica, vanno in una trattoria e qui la proprietaria apostrofa con finta gentilezza quest’ultima come “la moretta” e “la bella signora”. Al fastidio e allo sconcerto di questa che viene trattata male anche dalla bambina seduta a terra vicino alla cassa, corrisponde un atteggiamento tutto sommato lassista dell’amica romana che, forse, non percepisce in pieno ciò che è avvenuto o lo sottovaluta. In “Casa luminosa”, tristissimo racconto ma, purtroppo, come gli altri, realistico, un povero immigrato con la famiglia crede di aver guadagnato uno spicchio di felicità quando gli viene assegnata una casa popolare, solo che, ben presto, gli abitanti del quartiere si ribellano alla loro presenza, non li vogliono e li fanno oggetto di pesanti persecuzioni. In un crescendo di disgrazie, compreso il fatto che i giornali ignorano il problema perché hanno la precedenza altri articoli più interessanti per i lettori, si arriva al tragico epilogo sui binari della ferrovia. Nell’ultimo racconto “Dante Alighieri” si racchiude, riteniamo, nelle battute finali, tutto il senso dell’amore della scrittrice per la città. Un amore che non esclude le problematiche e i difetti. Una delle amiche della protagonista chiosa così: “Che città di merda”. “Ma quant’è bella”. Come darle torto?
Jumpa Lahiri
Racconti romani
Guanda, 2022
pp.256, Euro 17,00
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