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Lo Zibaldone

Isabella Morra, Storia di una fanciulla assassinata

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di Cinzia Giorgio

Gli scritti di Isabella Morra riflettono il valore mediatico della poesia stessa, che entra a far parte della linfa appartenente a una natura troppo ricca, tanto da essere predestinata a causa del suo eccesso intatto e virginale, allo stupro e al saccheggio della sua essenza.

Fu Benedetto Croce a riscoprire la storia e i versi di questa meravigliosa e sfortunata poetessa lucana. Disse di lei che la giovane donna, costretta dai fratelli a vivere segregata in una torre, componeva poesie al “fine di dare qualche placamento o mitigazione al suo affanno e travaglio, e a questo fine la piegò e asservì del tutto”.

Isabella era nata nel 1520 nella lucana Favale, oggi Valsinni. Ricevette un’educazione letteraria di altissimo livello e il suo talento di rimatrice emerse fin da giovanissima. Nel 1533 conobbe il nobiluomo spagnolo Diego Sandoval de Castro, che abitava nel castello di Bollita, l’odierna Nova Siri. Questi era sposato con Antonia Caracciolo ed era, secondo quanto ci riferisce Croce, “di nobile stirpe, di bella presenza, valente nelle armi e nelle lettere”. I due cominciarono una fitta corrispondenza: Isabella indirizzava le lettere alla moglie di lui per non farsi scoprire, ma tutto ciò non bastò a evitare la tragedia.

Nell’inverno del 1546 i fratelli di lei scoprirono l’innocente tresca e uccisero Sandoval de Castro, con un agguato in un bosco. Gli assassini poi trovarono riparo in Francia. Isabella fu confinata nel suo castello e cominciò a comporre versi anche per distrarsi dalla condizione disperata in cui si trovava. Aveva perso il suo amore, aveva perso la libertà e gridava con le sue rime contro “I fieri assalti di crudel Fortuna”. La giovane poetessa morì di lì a poco, alcuni studiosi ipotizzano che fu a causa delle numerose percosse ricevute dai fratelli.

L’indagine del giornalista, regista e critico letterario Giuseppe Lorin sulla poetessa lucana è attenta e puntuale. Nel suo saggio storico si legge di una ragazza, Isabella, e del suo timore che i posteri non la ricordino soltanto come fanciulla uccisa; li prega per tanto di non dimenticare le sue poesie, scritte nella sofferenza di adolescente privata del padre, unico suo punto di riferimento in una terra amara e ostile. È nel primo sonetto, più che in altri, che si avverte la necessità di essere ricordata come poetessa, poiché, come sostiene, è la Poesia a mantenere in vita il poeta. E, come sempre sostengo, si tratta di un riscatto di notorietà in forza della scrittura, cioè della poesia, unico “ponte” tra il poeta e il lettore. Il Dossier Isabella Morra vuole essere un ritratto della giovane poetessa del XVI secolo la cui storia non andrebbe dimenticata, soprattutto in seguito alla proclamazione internazionale di Matera Capitale Europea della Cultura 2019. Lorin passa dunque questo “testimone” a chi, dopo di lui, scriverà di Isabella Morra, figlia della Lucania.

Giuseppe Lorin, Dossier Isabella Morra. Poetessa del XVI secolo – Storia di una fanciulla assassinata (Bibliotheka, 2019)

 

 

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