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Introduzione alla criminologia
di Francesco Roat
Generalmente, i crimini che più attirano la nostra attenzione sono quelli che riguardano ogni tipo di violenza nei confronti delle persone. Gli omicidi, in primo luogo, seguiti dalla cosiddetta delittuosità sessuale. Da qualche tempo, inoltre, preoccupa un po’ tutti l’inquietante crimine del femminicidio, i maltrattamenti fisici e/o psicologici subiti da donne e bambini (stalking e pedofilia, ma non solo), nonché un tragico fenomeno purtroppo sempre più diffuso specie negli USA, cioè quello dei mass murder ovvero delle stragi, compiute di solito con armi da fuoco, in cui vengono uccise (anche, ma non solo) persone che nulla hanno a che fare con l’assassino, il quale colpisce alla cieca (oltre al singolo individuo che egli talvolta intende prioritariamente eliminare), finendo quindi per suicidarsi o per venire ammazzato pure lui dalle forze dell’ordine.
Un dato significativo da sottolineare però – come indica nel suo ultimo saggio la criminologa Isabella Merzagora ‒ è che l’incidenza degli omicidi nel mondo è alquanto diseguale. In Europa se ne compiono circa un terzo di quelli statunitensi e fino ad un quindicesimo di quelli del Centro e Sud America. L’Italia altresì, rispetto agli altri Paesi del Vecchio continente, risulta un territorio tra i più sicuri rispetto a tale efferata modalità delittuosa ‒ allineandosi con Nazioni come la Germania, l’Olanda, la Spagna e la Svezia ‒, pur se è opportuno segnalare che le ammazzatine siano più numerose nel nostro Meridione rispetto che in altre aree dello Stivale. Perché allora presso l’opinione pubblica prevale l’idea che gli omicidi da noi siano in aumento, mentre dai dati statistici risulta piuttosto il contrario? Senza dubbio, è l’eccessiva/insistita attenzione agli omicidi da parte dei mass media a provocare la distorta percezione del fenomeno.
Resta il fatto, si potrebbe obiettare, che quasi ogni giorno sui giornali e in TV vengono segnalati allarmanti episodi di femminicidio da parte di mariti, fidanzati o ex partner; mentre molto pochi sono gli uomini uccisi dalle donne con cui essi hanno o hanno avuto una relazione significativa. È il maschio, insomma, che in genere tende ad ammazzare la (ritenuta) sua femmina, e questo è un dato su cui riflettere. Va tenuto poi conto di come gli autori di tali delitti appartengano ad ogni tipo di classe socio-culturale. Siano essi analfabeti o laureati, disoccupati o professionisti, poveri o ricchi, giovani o vecchi, ben poco importa. Generalmente inoltre non hanno alle spalle grossi precedenti penali e, dopo aver compiuto il fattaccio, affermano di non aver potuto assolutamente fare a meno di farlo.
Anche se ciò non giustifica in alcun modo simili delitti, per cercare di comprendere le motivazioni che possono spingere taluni a compiere un’azione così aberrante, va preso atto che tra chi uccide la propria donna vi è chi spesso lo fa ‒ nota la nostra criminologa ‒: “sulla base di un serio problema di dipendenza dalla partner, senza la quale non riesce a concepire di poter vivere”. Tant’è che talvolta l’uxoricida finisce per uccidersi a sua volta. Va però aggiunto che vi sono: “casi in cui l’omicidio è il dramma finale di una lunga storia di maltrattamenti, prepotenze, violenze, accompagnati da una salda sottocultura di discriminazione di genere”. Sempre intorno alla violenza perpetrata sulle donne in ambito familiare è rilevante notare come nelle biografie dei partner abusanti si registra spesso la presenza di padri a loro volta abusanti: onde una sorta di circolo vizioso destinato fatalmente a perpetuarsi.
Ciò, va ribadito, non giustifica affatto l’aggressore; è invece frequentemente quest’ultimo a cercare di farlo negando la propria responsabilità, minimizzando l’accaduto, svalutando la vittima o attribuendole perfino la responsabilità di quanto il violento è stato costretto a compiere (la lei di turno lo aveva abbandonato/tradito, non era sottomessa/disponibile, ecc.). Ovvio che un trattamento rieducativo/psicoterapeutico dei maschi abusanti o potenziali violenti sarebbe quantomai auspicabile; così come – ancor prima, sin dall’infanzia – lo sarebbe stata una crescita entro una cornice genitoriale all’insegna dell’amore, del rispetto altrui e della tolleranza.
Altro delitto grave, visto dall’opinione pubblica quale atto mostruoso contro natura e quasi inconcepibile, è il figlicidio materno. Esso desta nei più disorientamento, stupore incredulo, addirittura avversione nei confronti di chi quasi sempre soffre di grave stato depressivo o di altra patologia psichiatrica. Nella fattispecie ‒ concordo con l’autrice ‒ si tratta di: “quelle madri che desiderano uccidersi e uccidono anche il figlio (suicidio allargato), delle madri che uccidono il figlio perché pensano di salvarlo (figlicidio altruistico), delle madri che uccidono il figlio per non farlo soffrire (omicidio pietatis causa, eutanasia o omicidio compassionevole, o pseudocompassionevole, quando motivato dal desiderio di «liberarsi dal fardello» del figlio malato)”.
Di fronte alle forme di violenza cui si è fatto cenno una domanda credo comunque affiori spontanea: considerati i vissuti diseducativi, i malesseri psichici e/o tutte le varie situazioni problematico-esistenziali di cui hanno sofferto coloro che non hanno saputo resistere a levar la mano su propri cari, l’essere umano è considerabile davvero in grado di esercitare in ogni circostanza il libero arbitrio oppure, per una complessa serie di ragioni/condizioni sfavorevoli, rischia di finire forse involontariamente per soggiacere al male? O ancora: esiste, in caso di turbamento e disordine cognitivo-emozionale, la reale capacità d’intendere e di volere?
Una risposta potrebbe essere quella suggerita dalla Merzagora, secondo la quale non si dà: “Nessuna libertà assoluta, dunque, bensì uno spazio di manovra limitato dalla nostra eredità biologica, dal luogo e dal tempo in cui ci siamo trovati a nascere, dalle esperienze familiari, dalla banda criminale a cui abbiamo voluto aggregarci, o dall’associazione differenziale a cui siamo stati esposti, insomma: un spazio di manovra limitato dalla nostra storia, ma nostra in quanto in gran parte costruita da noi”.
Isabella Merzagora, Introduzione alla criminologia, Raffaello Cortina Editore, 2023, pp. 243, euro 20,00
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