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Intervista a Nicoletta Bortolotti, ci presenta “E qualcosa rimane”. Di Laura Orsolini
Nicoletta Bortolotti, autrice di numerosi romanzi e redattrice di una collana per ragazzi di Mondadori, ci regala una chiacchierata in cui presenta “E qualcosa rimane”.
(di Laura Orsolini)
Ho visto il video su youtube nel quale presenti il tuo libro, mostrando la stanza dove scrivi. Trovo che condividere con i lettori e con tutti quelli che vogliono vedere il luogo preciso dove ti fermi e racconti le tue storie sia un’apertura notevole, che avvicina molto l’autore col lettore. A me ha fatto piacere vederlo. Le forme di comunicazione tra autore e lettore sono cambiate. La distanza è diminuita?
Facebook, Twitter, blog, Youtube… Effettivamente hanno accorciato molto le distanze fra autore e lettore. Non mi è sembrato vero, per esempio, di poter chiedere l’amicizia e seguire autori che stimo e ammiro. Inoltre i social network permettono agli autori di “fidelizzare” i lettori che entrano a far parte della loro community. Un altro mezzo per avvicinare l’autore ai suoi lettori e viceversa sono i banchetti firma-copia, meno formali rispetto a una presentazione ufficiale dove lo scrittore parla e l’uditorio ascolta. Nel banchetto, di concezione un po’ anglosassone, l’autore propone il proprio prodotto a ogni lettore che entra in libreria, parla con lui, c’è uno scambio di esperienze a tu per tu.
Troppa vicinanza fra lettore e autore però, secondo me, può comportare anche dei limiti. A volte io stessa, quando leggo un romanzo che magari mi coinvolge molto, amo immaginare l’autore quasi come un personaggio della sua opera, intimamente connesso e in sintonia con ciò che scrive. Se il personaggio-autore si discosta troppo dalla sua creazione può deludere. O a volte prevarica e mette in ombra il testo. Su Facebook compaiono tanti “autori” che sono troppo personaggi, venditori di se stessi, e troppo poco scrittori… Insomma in rete scremare le perle dalla fuffa non è facile!
Scrivi soprattutto in treno. Leggendo il romanzo ho avuto la netta sensazione di essere in treno anch’io, su un mezzo di trasporto veloce che attraversa la vita di Margherita e della sua famiglia. Le immagini dei ricordi si susseguono nitide e veloci, sono pennellate di colore e luce che delineano immagini precise che si soffermano il tempo necessario per far nascere l’emozione nel cuore del lettore…
Scrivo in treno perché, fra lavoro, famiglia, bambini, non ho molto tempo da dedicare alla scrittura e cerco di “ottimizzare” quelle tre ore al giorno trascorse sui binari per andare al lavoro. Il treno è diventata la mia “casa viaggiante”. Del resto la scrittura è un viaggio. L’importante è avere un punto di partenza anche se non sempre conosci il punto di arrivo.
Vorrei a questo proposito citare qualche riga di “E qualcosa rimane”:
Io e te in treno. Percorriamo la pianura che nelle prime colline anticipa l’Appennino. Il mare è appena un desiderio.
Un bambino nella pancia della terra, coperta di viti e cipressi.
Siamo sedute dalla stessa parte dello scompartimento.
Guardi fuori dal finestrino e io guardo il contorno familiare della tua testa. Capelli. Con gli anni cambiano il taglio, il colore e la consistenza, ma la forma che imprimono alla testa è immutabile. Sono i tuoi capelli, ora, a dirmi che sei proprio tu. Quante volte ho osservato la tua testa da dietro, mentre contemplavi il mondo fuori dal finestrino della macchina. Vista da dietro, la testa di qualcuno che conosci è indifesa e intenta a un orizzonte che non vedi. Mi viene voglia di farti qualcosa, tipo quando eravamo piccole.
Un impulso irresistibile.
All’interno del romanzo è impossibile non identificarsi nella storia, in una parte del carattere di almeno uno dei personaggi. Ho sorriso quando ho letto che Margherita ama fare colazione in albergo, “vale la pena di dormire in albergo solo per la colazione” io lo sostengo da una vita…
In realtà, credo ci sia un po’ di Margherita e un po’ di Viola, in tutte noi, nonostante le due sorelle del romanzo abbiano un carattere apparentemente opposto e si definiscano ancora una in rapporto all’altra. Anzi in tutti noi, perché questo libro è piaciuto sorprendentemente anche a molti uomini…
“E qualcosa rimane” è una storia sensibile che tocca in particolare l’animo delle donne. Io lo proporrei agli uomini come manuale d’istruzioni, un po’ come quello che trovi nei mobili dell’Ikea. Un manuale utile per capire come siamo dentro, come ci spegniamo piano piano quando veniamo deluse dall’amore, mi riferisco alle donne del romanzo che, chi più chi meno, si sono “spente” a causa di un amore che ha ingannato le loro aspettative…
La madre di Viola e Margherita non ha mai smesso di amare il marito da cui si è separata, Viola rincorre l’amore e poi lo fugge, Margherita si ritrova a vivere un amore precario come il lavoro. In apparenza, è vero, sembrerebbe che le donne del romanzo si siano “spente” a causa di un amore che ha ingannato le loro aspettative. Ma forse la frase potrebbe anche essere capovolta, forse sono le aspettative che ingannano l’amore… Ogni membro della famiglia misura con un “felicitometro” il proprio grado di felicità e a un certo punto Margherita dice: la felicità non sempre rende felici.
Un amore da lontano non è un amore da meno. Su questa frase si fonda tutto il mio matrimonio. È bello sapere che anche altri amano in maniera non convenzionale… “Sono dovuta starti lontana molto tempo per riuscire a trovare chi ero” Viola confessa a Margherita. Mi viene in mente anche una canzone di Jovanotti che tratta lo stesso argomento e dice “mi devo allontanare da te, per vederti tutta intera”…
Nel romanzo Margherita e mamma amano come cani, Viola e papà come gatti. Come si fa a mantenere un equilibrio tra chi ama come un cane e chi ama come un gatto? Come si resiste alla mancanza?
A volte, invece di studiare complesse teorie socio-psicologiche per comprendere il comportamento umano, basterebbe osservare un po’ meglio gli animali. Nel libro ci sono frequenti paragoni col mondo animale e tutti noi siamo un po’ cani, bisognosi d’amore e dipendenti, e un po’ gatti, gelosi della propria libertà. Non esiste un modo d’amare “politicamente corretto” perché a volte vi sono amori in cui si è vicini ma ci sente soli e amori in cui si è lontani ma ci si sente intimamente connessi. Il problema è che cani e gatti, nel mondo umano, si attraggono e succede spesso che chi è dipendente scelga un partner più indipendente, proprio per integrare in se stesso la parte che manca. E per alcuni anni funziona. I cani diventano un po’ più gatti e i gatti un po’ più cani. Finché però tornano in superficie le proprie caratteristiche originarie e i cani si riscoprono cani (“ecco, non mi ha mai amato veramente”) e i gatti si riscoprono gatti (“mi manca l’aria, ho bisogno di cercarla altrove…”). E’ a questo punto che si saggia la vera tenuta di un rapporto.
Parliamo di “pianti di copertura”. Il padre di Margherita e Viola dice “nessun problema in famiglia, i problemi si creano solo parlandone”. Quando si parla in famiglia si tende a trattenere le lacrime e fingere che non ci sia nulla che non va, soprattutto se non è vero. Perché nel nucleo famigliare fatichiamo così tanto a esternale le emozioni, e facciamo meno fatica a esprimerle col partner o con gli amici?
Ho letto un bellissimo libro della psicoterapeuta Silvia Vegetti Finzi, intitolato “Noi due sconosciuti”. Si raccontano storie di quotidiana follia dove i genitori non sanno chi sono veramente i figli e le coppie scoprono aspetti l’uno dell’altro che mai avrebbero immaginato. Ma molti per anni non tentano neanche di sapere, di conoscere veramente le persone con cui vivono. E questo per il timore di esprimere emozioni autentiche e di essere profondamente feriti. Coloro che amiamo di più infatti possono ferirci di più. In questi casi, non voler conoscere l’altro può essere una scusa per non voler conoscere se stessi.
Nel libro Margherita e Viola, le due sorelle, si vogliono bene ma sono diverse. Margherita soffre la mancanza della sorella. Nella vita le relazioni interpersonali non vanno mai come vorremmo. Qual è secondo te la ricetta “madre” per accettare i compromessi ?
Accettare i compromessi. Senza film ideali, senza la schiavitù di un progetto che abbiamo in testa e che indica quale sarebbe un amore ideale, una sorella ideale, una madre o un padre ideali, un’amica o un amico ideale. Il segreto pensa che sia accettare le imperfezioni della realtà come dice Margherita quando racconta a Viola dei suoi bambini:
Quando i figli erano neonati, mi ammazzavo di fatica, ma mi sentivo bene perché impegnata totalmente nel fare e ancora ignara del risultato. Se i bambini fossero torte, Viola, questa. La fase in cui le madri si divertono a impastare e a mescolare gli ingredienti, senza alcuna ricetta che indichi le giuste percentuali. E un giorno i figli sono grandi, la torta esce dal forno, e le madri finalmente l’assaggiano. Ne valutano pregi e difetti. Scoprono che forse avrebbero potuto mettere più zucchero e meno cioccolato, amalgamare meglio il burro con le uova, ridurre i tempi di cottura. Ma ormai quello che è fatto è fatto, tornare indietro non si può. Ormai quel dolce è uscito così, un po’ bruciacchiato ai lati, o in certi punti ancora un tantino crudo, non abbastanza gustoso o dal sapore troppo deciso. E allora alle madri non basterà tutta la vita per accettare le piccole grandi imperfezioni della loro torta e per dire ugualmente al mondo, per dire a tutti quelli che cercheranno di convincerle del contrario, questa torta. Buonissima, amo questa torta in qualunque modo sia venuta, perché è mia, l’ho fatta io, è l’unica torta che ho, l’unica per cui è valsa la pena di restare qui e respirare.
La sua è una scrittura che mi permetto di definire lirica nel senso etimologico dell’aggettivo, perché in tantissimi momenti i sentimenti prendono il sopravvento sulle parole, che si trasformano in poesia…
Adoro la poesia, ne ho letta molta e penso che leggere poesia aiuti molto a migliorare la propria scrittura, a rifuggire dalle banalità e dai cliché. Quando troppe parole appiattiscono un sentimento o un concetto, un’immagine permette una comprensione più profonda. A patto che lo stile sia sempre nitido, aderente alla storia, mai troppo pesante o ricercato.
Parliamo un po’ di pettinature. All’inizio di ogni capitolo, insieme a un riassunto degli avvenimenti storici importanti e non che sono successi, viene citata la pettinatura dei protagonisti. Ci spieghi il ruolo della pettinatura in questa storia?
I protagonisti maturano e crescono, ci sono tre generazioni di donne e di uomini presenti nel romanzo dagli anni ’50 a oggi. Cambiano i governi e cambia il loro taglio di capelli. La pettinatura non è solo espressione della moda, ma è un indice profondo dello spirito dei tempi: negli ordinati e moralisti anni ’50 la madre ha il carrè e il padre la riga da una parte. Negli anni ’70 la madre porta uno chignon disordinato, Viola e Margherita i capelli corti e il padre è diventato capellone. Oggi ai genitori si sono imbiancati i capelli, Margherita cerca nel carré della madre quella sicurezza che un’epoca incerta non offre più.
Un altro dei tanti temi interessanti che vengono toccati nel romanzo è quello della libertà che viene definita crudele. “La libertà è crudele e non guarda in faccia a nessuno” e ancora “per cambiare devi tradire qualcuno”. Insomma fare quello che si vuole è doloroso…
Oggi la libertà è molto enfatizzata e in parte è giusto che sia così, perché la vera libertà si è conquistata nella storia con molto sangue. Ma i gatti la amano e i cani no. Viola ama la sua libertà, Margherita non sa che farsene, perché teme la solitudine. E allora c’è libertà e libertà, dipende da quanto ognuno di noi è in grado di “sopportarla”. Per conquistare la libertà di crescere bisogna avere la forza di attuare un vero e proprio tradimento. Il primo grande tradimento avviene nei confronti della madre, quando il figlio adolescente chiude la porta della propria camera e non la mette più a parte dei suoi segreti. Tutti i successivi tradimenti saranno una replica più o meno riuscita di questo. A volte per crescere si tradiscono amici che non ci corrispondono più, si tradiscono luoghi in cui non stiamo più bene, si tradiscono parti di noi stessi che non ci appartengono più…
Nicoletta Bortolotti
E qualcosa rimane
Sperling & Kupfer 2012
pp. 181, euro 17,90 – ebook euro 9,99
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