Lo Zibaldone
Incontro con lo scrittore Antonello Loreto, autore di “Regina Blues”
Antonello Loreto è nato a L’Aquila e vive a Roma. Dopo aver lavorato nel campo del marketing e della comunicazione, ha deciso di dedicarsi esclusivamente alla scrittura pubblicando nel 2014 in self publishing La favola di Syd. Dall’incontro con Edizioni Progetto Cultura esce nel 2016 Un’Altra Scelta e nel 2018 Regina Blues, un romanzo corale in cui ritorna il personaggio di Syd, omaggio al musicista Syd Barrett, e in cui racconta una parentesi di vita di ventidue personaggi che cambierà per sempre i loro destini.
«Se penso a Regina Blues mi viene in mente la forza che ogni riferimento musicale presente nella storia sa donare alle scene, e come contribuisca a creare pathos e vicinanza ai personaggi. La musica è parte importante anche nei tuoi due precedenti romanzi. Come scegli i brani da citare? Sono quelli che ti trovi ad ascoltare durante la stesura del libro, o cerchi legami particolari col personaggio o la scena che stai scrivendo?». Scrivo le mie storie con la tecnica della sceneggiatura, anche sfruttando il mio amore per il cinema che ho frequentato molto nell’età della giovinezza. Le scene che descrivo sono strutturate spesso come credo farebbe un regista il quale, oltre a dirigere gli attori, ha di frequente voce in capitolo in ogni aspetto: la luce da dare ad un posto, il montaggio, il suono ed appunto la colonna sonora. Siccome, a differenza di come accade spesso, io mi concentro soltanto se scrivo con la musica in sottofondo, può succedere che un brano che sto ascoltando influenzi quella descrizione e, viceversa, una frase o un concetto mi richiami alla mente una canzone. Questo è il motivo per cui le vicende che racconto sono intrise di musica.
«Hai esordito con La favola di Syd in self publishing, per poi affidarti a una casa editrice per i due successivi romanzi. Cosa cambia in positivo e in negativo nella gestione della propria opera quando si dipende da una realtà esterna?». L’esperienza dell’esordio in self publishing mi è servita molto per curare in prima persona ogni passaggio del percorso di pubblicazione e mi ha permesso di fare esperienza “di strada” sui singoli aspetti che vanno curati. Certamente, la “libertà” di poter stabilire ogni cosa a partire dal processo creativo in poi, è impagabile per un animo anarchico. Ma ho avuto la fortuna di incrociare sulla mia strada un editore “moderno”, molto attento a non invadere spazi altrui e assai rispettoso dei ruoli diversi che rappresentiamo. Il connubio quindi mi è parso azzeccato fin da “Un’Altra Scelta”, sia dal punto di vista del lavoro condiviso che dei risultati ottenuti, ed abbiamo deciso di riprovarci nella speranza di ottenere gli stessi esiti.
«In Regina Blues ci sono ben ventidue personaggi da gestire. Un lavoro non da poco, e tu sei riuscito a farlo con sensibilità e profondità di sguardo, restituendo una variopinta galleria di ritratti di giovani colti nel momento forse più importante della loro vita. Come ti sei districato nella gestione di tanti personaggi, e come sei riuscito nel difficile compito di creare un solido ponte emozionale tra loro e il lettore?».Diciamo che questa è stata la vera sfida. Non tanto nella creazione di molti profili quanto nella gestione dei tempi e del ritmo della storia. D’altronde, soprattutto nella prima parte del romanzo, racconto la loro vita di una domenica mattina particolare, i loro percorsi e i luoghi che frequentano. Quindi ho dovuto ricostruire nel mio studio un poster gigante che rappresentasse Regina, la loro città, ed ho colorato ogni singolo percorso per evitare che i ragazzi si incrociassero in posti diversi o in orari sbagliati. Ma è stato molto divertente seppure impegnativo.
«Anni fa hai deciso di lasciare un lavoro sicuro e appagante per dedicarti alla scrittura a tempo pieno. Un atto coraggioso, e sicuramente rischioso a giudizio di molti. Qual è stata la proverbiale goccia che ha fatto traboccare il vaso, e che ti ha spinto a una scelta così radicale?». Devo dire che, a parte una buona dose d’incoscienza, devi essere anche un po’ fortunato. Nel senso che una serie di circostanze private e familiari mi hanno permesso di fare il passo con il “paracadute”. Scavando più in profondità però, confesso che le mie vite precedenti non erano personalmente appaganti sebbene, nel corso delle mie vicende lavorative, mi sia tolto più di qualche soddisfazione economica e professionale. Sapevo di voler fare altro della mia vita e, pur non dicendolo per pudore, mi è sempre piaciuto scrivere e rifugiarmi nella creazione di vite parallele. Quando se ne è creata l’occasione ho inteso coglierla al balzo, pensando che fosse importante essere totalmente artefice del mio destino. Ma mai avrei immaginato che scrivere sarebbe diventato il mio “mestiere”.
«Mi ha colpito molto l’immagine della sala di lettura di Palazzo Berlinghi rimasta in piedi, al contrario delle altre stanze, dopo il disastroso terremoto. Sicuramente un omaggio alla letteratura, alla forza della parola, fonte di eternità per le gesta e i pensieri degli uomini. E l’uso che fa Syd della poesia di Wystan Hugh Auden, Funeral Blues, è forse il momento più intenso e commovente del romanzo. Quando e come è nata la tua storia d’amore con la letteratura?». A proposito di “fortune”, mi piace dire che fin da piccolo sono stato nutrito dai miei genitori con pane e libri. In particolare, mio padre è un fanatico lettore da sempre e nella nostra abitazione aquilana ho vissuto per anni circondato da migliaia (esatto, migliaia) di libri. E quando hai questa incredibile possibilità devi sfruttarla, sicché giorno dopo giorno i personaggi della letteratura sono diventati dapprima conoscenti e, alcuni di loro, grandi amici. In riferimento alla sala di lettura di Palazzo Berlinghi, hai colto esattamente il punto: è per me un simbolo di solidità, di perno per una comunità ferita che deve lavorare sulle macerie dei palazzi ma soprattutto su quelle delle persone. E la cultura deve rappresentare un perno ineludibile per chi vuole ricominciare a vivere. La letteratura salva e ti salva.
«La città di Regina e il dolore che il terremoto le arreca diventa suo malgrado la metafora della fragilità umana. Regina soccombe, ma rimane “regina” perché non si arrende, perché lotta per la sua rinascita. Come i protagonisti della tua storia, esseri soggetti ai capricci del destino, che cercano di reagire e combattere per un futuro migliore. È questa resistenza incrollabile dell’uomo il nucleo e il cuore pulsante di Regina Blues?». L’ho scritto nella nota finale del libro. Regina Blues è un inno all’ottimismo oltre che un ovvio tributo alla mia città. Attraverso molte vite dei personaggi protagonisti raccontate a trenta anni di distanza dall’evento, ho voluto immaginare che spesso la vita va avanti più bella di prima, nonostante le tragedie. La dedica del romanzo infatti è “a chi resiste”. La fiducia, la consapevolezza che domani sarà migliore di oggi è il motore imprescindibile per una vera rinascita.
«Nel tuo romanzo convivono la gioia di vivere e la malinconia. Sulla spensieratezza dei giovani protagonisti intenti a godersi il loro giorno speciale si impone infatti la crudeltà di un evento catastrofico che cancella sogni e speranze. Quali sono le motivazioni che ti hanno spinto a scrivere Regina Blues?».Io credo che la storia di Regina Blues sia uno specchio romanzato della vita di ognuno di noi, perennemente ritmata da gioie e dolori. E lo sfondo dell’ironia e della malinconia è il condimento essenziale del piatto. Ho sempre avuto in testa Regina Blues, da quando i noti eventi del terremoto aquilano hanno sconvolto la vita di una comunità nella quale sono cresciuto e a cui devo gli anni bellissimi della mia gioventù. Accade spesso che ti rendi conto di quanto una cosa sia importante, quando l’hai persa irrimediabilmente. Il romanzo che ho scritto è un tributo di cuore alla mia città e, contemporaneamente, è l’esigenza di riappropriarmi di vite, di luoghi, di facce che hanno accompagnato la mia fortunata adolescenza.
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