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Lo Zibaldone

Impare ad amare

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di Francesco Roat

L’incipit dal saggio Imparare ad amare, di Young-Eisendrath Polly, non è molto rassicurante per quanti, incontrata l’anima gemella, si apprestino ad iniziare un cammino insieme. Quale psicoanalista e psicologa con esperienza pluridecennale nella terapia di coppia, scrive infatti l’autrice: “ho l’impressione che oggi sia più difficile che mai far fiorire il rapporto di coppia”. Forse perché, come già aveva già osservato Alberoni alla fine degli anni settanta, una cosa è lo stato nascente (o effervescente) dell’innamoramento, altra cosa l’amore. Per cui non basta sia positiva la prima fase della relazione erotica con un partner, che di solito è appagante, il problema sta tutto nel prosieguo della storia, specie se questa ambirebbe ad essere di lunga durata.

In realtà, secondo Young-Eisendrath, innamorarsi comporta al contempo: “cedere a una proiezione inconscia idealizzante”; significa credere/illudersi che l’altra/o realizzerà i nostri desideri, potrà completarci appieno, si prenderà cura di noi quasi come una sorta di seconda madre o nuovo padre. Scontato che, una volta che lei o lui con cui abbiamo iniziato a relazionarci, scenderà (o lo faremo scendere) dal piedistallo su cui l’avevamo idealmente collocata/o, il rapporto entrerà in una ben altra fase. Ciò che conta però è quello che i due faranno dopo quello che potremmo chiamare il disincanto, rispetto all’infatuazione iniziale e al desiderio narcisistico di un impossibile amore perfetto.

Ed è giusto questa, a detta dell’autrice, la fase cruciale per il futuro della coppia, se si intenda raggiungere e mantenere un’intimità duratura/matura. Tenendo sempre conto di un fatto inevitabile, qualora si decida per una convivenza o una vita matrimoniale, e cioè che ‒ come ebbe a sottolineare Jung già nel 1925 ‒ “Raramente, per non dire mai, un matrimonio si trasforma in una relazione individuale senza difficoltà e senza crisi”. In primo luogo dunque sarà bene precisare l’inutilità dell’andare in cerca di facili ricette per confezionare un amore stabile/inossidabile ed in secondo luogo rendersi conto di come sia necessario al benessere di una coppia una crescita psicologica che coinvolga entrambi i due membri.

Seguendo le indicazioni della nostra psicoterapeuta è opportuno reintegrare in sé, riappropriandoseli, gli aspetti ‒ positivi o negativi, idealizzanti o svalutativi ‒ proiettati sull’altra/o, attraverso un nuovo sguardo che riconosca i tratti autentici, i limiti e i pregi di entrambi. In una parola: si tratta di smetterla con la fantasia di poter trovare l’amore iniziando a pensare alla possibilità di crearlo e ricrearlo attraverso la fiducia nella relazione, l’impegno reciproco e il contenimento degli impulsi aggressivi/nocivi. Young-Eisendrath è inoltre assai favorevole alla monogamia, non per partito preso ma tenuto conto della propria esperienza professionale. Questa è, piaccia o meno, la sua franca ammissione:

“Nel corso degli anni ho parlato con molti che parsero un rapporto significativo in nome del libero amore; e non ho incontrato nessuno che dicesse di aver tratto qualche vantaggio o beneficio dal matrimonio aperto. Ho avuto in terapia anche i figli, che sapevano tutto malgradi i sotterfugi dei genitori, e che vivevano quel genere di esperimenti con inquietudine, considerandoli sbagliati e controproducenti per il legame familiare. Eppure la relazione aperta sembra tornare di moda; alimentata, pare, da una fiducia nell’«anarchia» del sesso illimitato”.

Certo: il desiderio sessuale soffre della familiarità e della consuetudine, ma al di là di quanto siamo o potremmo essere attivi sessualmente con più partner, resta che per la maggioranza delle persone la cosa più importante ‒ al di là delle prestazioni genitali ‒ è avere un compagno o una compagna con cui trascorrere insieme l’esistenza, non una notte soltanto. Quindi è pur vero che la sessualità è importante per la vita di coppia, ma è altrettanto vero che l’amore va oltre il mero sesso e che spesso l’amante dei propri sogni non regge quasi mai al confronto della realtà quotidiana. Questo non significa affatto che se l’intimità fisica viene meno o produce frustrazioni la cosa sia ottimale, tutt’altro. Significa solo che è sin troppo facile (praticato) addossare all’altro/a la colpa delle nostre insoddisfazioni e scaricarlo/la mettendo fine al rapporto. È in effetti impressionante vedere oggi quante separazioni avvengano dopo una breve o brevissima convivenza; senza cioè che i due tentino di impegnarsi a migliorarla.

Accennavo, sopra, al reciproco impegno. Parola poco amata quest’ultima in questi nostri tempi all’insegna del disimpegno e di un consumismo ‒ anche nei confronti delle relazioni sentimentali ‒ all’insegna dell’usa e getta. Ma dice bene Young-Eisendrath: ancor prima di impegnarsi con una persona, chiediamoci se saremmo in grado di farlo davvero; o lasciamo perdere prima ancora di iniziare, che forse è meglio qualora dedizione, attaccamento, vincoli (e pure qualche sana rinuncia) non facciano per noi. Ritornando al titolo impegnativo del saggio, è opportuno rimarcarlo: non esistono manuali per imparare ad amare. E questo giustamente non vuole porsi come tale.

L’autrice ‒ altresì praticante buddhista nelle tradizioni vipassanā e zen ‒ intende appena dare consigli su come impostare al meglio il dialogo fra i due membri di una coppia ed osa persino suggerire un rivoluzionario invito: integrare l’amore individuale con quello transpersonale quale obiettivo principe del percorso di maturazione spirituale. Come a dire, cristianamente, evolvere dall’eros all’agape.

Polly Young-Eisendrath,

Imparare ad amare. La relazione di coppia come percorso spirituale

Astrolabio – Ubaldini, 2020,

pp. 197, euro 18,00.

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