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Il tema dell’abuso narcisistico in “Rose di capodanno” della Falconi

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Si dice che il noir sia molto legato ai territori ed è vero, ma la scrittrice giuliese Caterina Falconi, che nel suo nuovo noir dal titolo Rose di capodanno (edito da Vallecchi Firenze) racconta il suo Abruzzo e in particolare Teramo, rivela con chiarezza come attraversare il buio sia indissolubilmente intrecciato alla capacità non comune di guardarsi dentro, di esplorare i propri strapiombi. E dunque i territori dell’animo, oltre a quelli geografici. Protagonista è una donna coraggiosa, l’ispettore capo di polizia Vera Ferri, in collaborazione con il commissario Mariano Farandola, innamorato di lei. La scrittura della Falconi, preziosa e precisa, la sua abilità nel condurre la trama fanno assurgere quella che avremmo potuto rubricare come una qualunque prova narrativa “di genere” ad un rango letterario superiore. Con uno strillo lusinghiero del grande Andrea Vitali.

Per scrivere Rose di capodanno, in cui viene uccisa un’operatrice sanitaria, ha attinto in qualche modo dalla sua esperienza o è solo frutto di invenzione?

Non sono esattamente un’operatrice sanitaria, lavoro come maestra di ergoterapia in  un istituto di riabilitazione. La vicenda del romanzo si svolge in un contesto simile, ma non sussistono riferimenti alla mia realtà. Sono sempre stata affascinata dai contesti nosocomiali, come quelli descritti, anzi narrati, dall’immenso Patrick McGrath. Mondi a sé stanti, in cui ogni abitante contribuisce, con la propria perturbante e al tempo stesso sovrana follia, alla peculiarità straniante e irripetibile del contesto. Per questo ho ambientato il delitto in un istituto che accoglie i sofferenti mentali. In suddetti luoghi spesso serpeggia il male, e lo fa principalmente tra chi dovrebbe prendersi cura dei fragili.

Per raccontare “storie nere” serve entrare in contatto con il proprio lato buio?

Chi racconta storie nere tenta di mettere a fuoco il male. Ma il male è ubiquitario e silente. Tutti noi siamo portatori della cosiddetta Ombra junghiana. La commistione, o il colloide, di luce e tenebra dentro ciascuno di noi potrebbe essere rappresentata cromaticamente con il grigio. E quante sfumature ha il grigio, oltre alle 50 erotiche di narrativa memoria! Vi sono dei grigi che rilucono, altri che paiono risucchiare e rifrangono brama di morte. Questo per dire che il genere noir io lo definirei gris. E, per rispondere alla domanda: certo che occorre entrare in connessione con il proprio lato oscuro, se si vuol scandagliare narrativamente il male!

L’ispettore capo Vera Ferri è una donna affascinante, complessa,  in cui molte altre donne potranno riconoscersi. Nello sceglierla come protagonista ha fatto riflessioni in qualche modo “di mercato”, considerando il successo di personaggi con Lolita Lobosco?

Nessuna considerazione furba. Sebbene abbia “fiuto” per i temi che potrebbero funzionare sul mercato editoriale, le mie scelte sono sempre di ordine narrativo. Sentivo il bisogno di rappresentare varie tipologie di donne in relazione all’amore, vero o farlocco. E nel ventaglio semantico della parola amore, spesso deliberatamente abusata, fraintesa e distorta, sono contemplati a un capo la reciprocità, e a quello opposto l’abuso relazionale. Vera Ferri è la reduce, sopravvissuta, di una relazione abusiva. La donna ammazzata non ce l’ha fatta. Su questo binomio, come su un’elica ritorta, ho incardinato le storie delle protagoniste e l’evoluzione dell’indagine di polizia.

La Ferri è stata vittima di abuso narcisistico. Chi leggerà il romanzo, oltre a una storia avvincente, potrà trarne riflessioni e spunti per situazioni tossiche?

Mi auguro di sì. L’abuso narcisistico è una forma di violenza psicologica, se non la forma di violenza psicologica tout court. Talvolta l’abusante passa all’atto commettendo azioni criminose. Esaminando la cronaca nera, si risconta che, nella maggior parte dei casi, gli assassini sono stati successivamente diagnosticati dagli psichiatri forensi come portatori di almeno un disturbo di personalità del cluster B. Tra queste tipologie sono annoverati i narcisisti maligni, gli psicopatici e i sociopatici. L’abuso narcisistico è messo in atto da tali disturbati, e a vari livelli, non solo sul fronte sentimentale. Tutta la nostra contemporaneità ha un’impronta marcatamente narcisistica. Sono tematiche che mi stanno a cuore e che tratto narrativamente, mettendo in scena storie di abusi. Non sono una clinica, né una divulgatrice scientifica. Il mio compito è evidenziare delle problematiche raccontando, senza apporre una segnaletica moralistica per la risoluzione delle stesse. Sarà il lettore a interrogarsi e a decidere, eventualmente, di informarsi e schierarsi. In quest’ottica mi auguro che la vicenda della Ferri sia foriera di spunti su come liberarsi dalle grinfie di un abusante.

Quanto conta il legame con il territorio per una scrittrice come lei?

Conta tanto, bisogna scrivere di contesti che si conoscono. Io sono abruzzese e ambiento le mie storie in Abruzzo.

Rincontreremo Vera Ferri in altre indagini?

Può darsi. Al momento non saprei dirlo.

Scrivere le dà gioia?

Scrivere è una fatica squassante, se non si bara. Scrivere per adulti è imbattersi costantemente nella nostalgia dell’infanzia perduta e nelle meschinità, oltre che nella bellezza dei sentimenti elevati. Scrivere per bambini invece, cosa che faccio da anni, è per me una fonte di incontenibile gioia.

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