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Lo Zibaldone

Il poeta è un airone

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di Sergio Di Giacomo

Nei versi di Sergio Di Prima, l’estatico lamento dello Stretto di Messina che, tra storia grande e piccola, avvolge il sogno che invade il canale.

Per chi vuole scoprire un poeta che lascia tracce liriche davvero pure, vivide, originali, capace di descrivere immagini e scorci della nostra Messina più bella e autentica, consigliamo di leggere le Poesie del vecchio millennio di Sergio Di Prima, giovane giornalista (con esperienza a Radio Messina Quartiere fondata da padre Sterrantino), italianista formatosi nella nostra facoltà di Lettere, docente peloritano che lavora a Londra, capace di analizzare con grande attenzione ecompetenza le dinamiche linguistiche contemporanee. Sue poesie, edite ed inedite, sono state pubblicate nella prestigiosa rivista letteraria americana “Italian Poetry Review”, mentre a breve dovrebbe essere completato un progetto letterario che riguarda una silloge ispirata a Pinocchio, grande passione e grande fonte ispirativa di Di Prima.

Nella sua silloge, Di Prima evoca memorie proprie e universali, disegnando paesaggi che lasciano davvero senza parole, con il cielo velato “da nubi disciolte, cosparso di gocce d’un bianco si triste, rigato da linee finissime, molte spezzate da strisce azzurrine, da piste per rombi silenti d’immobile fumo”; fiori soffiano profumi, il bianco del ciele sa di “nitido latte”, tutto sembra una “candida rete”, immobile moto che dipinge silenzi, anche se da lassù il cielo ha un sua “voce” che gorgheggia tra le “fili di nubi”.

Si rincorrono metafore, similitudini, evocazioni profonde, seguendo la traccia dei grandi poeti (Ungaretti, Montale, Luzi..) e dei grandi cantautori (Dalla e Baglioni, ma anche De Andrè e Vecchioni). Così il sole “impaurito” si alza sul il mare impetuoso che si schianta sul lido spandendo benefico sale, “righiaccia” la mente, sbuffa, ansima, inebria i sensi,muove ricordi…Quanti poeti  anno descrivere le stelle come “anime del paradiso”, antiche fontane e figlie del sole, “grappoli di sentimento”.

Il poeta è un airone, vola sopra giorni passati e antiche paure, trova la storia grande e piccola, tra “percorsi geometrici”, canti di primavera, misteri, piogge, venti, “placidi orgasmi” e interrogativi esistenziali in “notturni marini”  profondamente leopardiani. “Ubriaco di luna” come fosse un viandante senza pace, l’autore ci sorprende nel suo settembre  che “idrata le terre abbracciate dai fuochi dell’estiva calura”, e descrive il nostro scrocco immancabile vento  che si muta in piombo e fa inginocchiare la terra (immagine talmente bella che lascia basiti, come le stelle che come pulviscoli si accendono “di santità”…).

L’”estatico lamento” dello Stretto avvolge il sogno che invade il canale antico tra due terre, “plaga di leggende marinare”, dove l’autore lievita “ebro di sale”; mentre malinconicamente i vecchi lampioni del Viale vengono sostituiti, “trafila di luci schierate  a accendere  l’aria e la via”, segno di una città che cambia si ammodernizza, lasciando immagini nostalgiche e di grande lirismo: Ci sarà un cielo per voi, dove andrete a splendere di luci chiare come in queste sere e verrà ogni giorno a suonare la banda sui marciapiedi di nuvole sopra i sogni di questa città”.

 

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