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Storia

Il mistero di Ettore Barzini, ucciso a Mauthausen

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Due Luigi – i Barzini (il padre Luigi senior e il figlio Luigi junior, penne di punta del giornalismo italiano) – e un Ettore, nipote del primo e fratello fratello del secondo. O anche semplicemente “Il figlio minore”, il ramo “storto” dell’illustre famiglia milanese: meno noto del papà, meno acclamato del fratello, meno “in linea” con le scelte della dinasty e per questo alla fine oscurato. Oggi, si direbbe, “insabbiato”, come accade alle telline lungo la battigia.
Così infatti è rimasto Ettore Barzini per lungo tempo, troppo: un ricordo silente legato soltanto ad un’unica fotografia in un angolo della casa, fino a quando, un paio di anni fa, Andrea, discendente diretto dei due Luigi (figlio e nipote) ha deciso di dare una risposta a quelle domande che fin da piccolo gli balenavano nella testa. Che fine ha fatto lo zio Ettore? Perché nessuno ne parla? Perché in famiglia non viene ricordata la sua morte nel campo di concentramento di Mauthausen?
Abbandonati set e celluloide per diversi mesi, Andrea Barzini (noto al grande pubblico per i suoi film “Italia-Germania 4-3; “Flipper”, “Passo a due” nonché per la sua attività di sceneggiatore) ha passato le sue giornate dentro archivi e biblioteche, piuttosto che dietro una macchina da presa, e ha ricostruito la vita singolare, indipendente e anche un po’ ribelle de “Il fratello minore” come recita il libro pubblicato dalla casa editrice Solferino, in libreria da neanche una settimana. Sottotitolo: Il mistero di Ettore Barzini, ucciso a Mauthausen.
Ne è venuto fuori il ritratto del “misterioso zio” e al tempo stesso un affresco di una delle più note famiglie italiane del Novecento e anche del Paese stesso, in quegli anni alle prese con il fascismo e la guerra. Uno scenario sospeso tra i compromessi di chi vuol mantenere la sua posizione (Barzini senior ai vertici del Corriere della Sera), le ambizioni di chi non vuole rinunciare ad una carriera in qualche modo tracciata (Barzini jr firma dello stesso “Corriere”) , l’intraprendenza invece di chi sceglie una strada tutta sua, alternativa e rispettosa di uno spirito libero quale Ettore sentiva di essere: nel lavoro, come nella politica, nell’ideologia. E più in generale nella vita spesa in nome della giustizia.
A rendergli omaggio c’è voluto il lavoro di ricerca di Andrea, fotogramma dopo fotogramma. “Sì, è una ricostruzione e un racconto, perché dalle cose che ho conquistato, ho ricostruito tutto l’affresco. Dalle lettere ho scritto dialoghi, dagli accenni, ho immaginato i contesti”.
“La voglia? – dice Barzini all’indomani dell’uscita del libro – Non lo so, davvero non lo so , forse avevo sempre saputo che ne avrei scritto. Lo zio era nella nostra testa di ragazzi, di noi figli adolescenti. Era lo zio morto a Mauthausen, deportato per ragioni politiche, di cui papà non ci parlava. C’era una sola foto, aveva una faccia simpatica, gentile, ironica. E’ rimasto così accantonato per anni. Troppi. Poi due anni fa, ho deciso che lo avrei fatto e sono andato all’Archivio di Stato dove ho trovato le sue tracce nelle lettere di famiglia”.
Ed è stato un po’ come dischiudere armadi tenuti a lungo serrati, frugare in passato sottaciuto, disobbedire e aprire quella stanza che sarebbe dovuta restare chiusa. Qualcuno non ha gradito?
“No. Solo commenti un po’ ironici – spiega Barzini – per la mia voglia di andare a cercare cose seppellite, come se stessi facendo un’azione necrofila o magari un’esercitazione privata”.
Ed invece è un pezzo di storia del giornalismo e della politica italiana.
“Certo, io azzardo anche a dire che è una tragedia italiana – conclude Barzini – una storia dell’epoca più drammatica della nostra storia, intima e pubblica, dove gente conosciuta si mescola a gente che non ci tiene alla fama, come lo zio Ettore”.
E chissà che non la potremo vedere anche sul grande schermo, del resto la regia è assicurata.

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