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Il lupo di Skopje
di Gordiano Lupi
Annick Emdin (classe 1991) è un’autrice che mi rende orgoglioso e che – se mai fosse possibile – mi fa sentire meno inutile in quest’attività editoriale di scoperta talenti che porto avanti dal 1999, con Il Foglio Letterario. Il suo primo racconto edito uscì nella nostra (defunta) collana Demian, ideata dalla premiata ditta Guerri & Naspini, poi è uscito Lividi con Anordest, grazie alla mia segnalazione, infine Annick ha cominciato a correre con le sue gambe arrivando fino a Ugo Guanda, ormai due titoli con il marchio editoriale Astoria, di per sé sinonimo di qualità. Ho già avuto modo di apprezzare Io sono del mio amato e di rendermi conto (ma non ne avevo bisogno) di essere di fronte a un’autrice in senso pieno, dotata di uno stile ben definito e riconoscibile. La conferma viene da Il lupo di Skopje, che se fosse un film si direbbe costruito con un montaggio non consequenziale, per raccontare esistenze diverse e tragiche storie di abbandoni, tra dialoghi ficcanti, scene che si danno il cambio in rapidi flashback e momenti di passaggio da un personaggio all’altro. Ho visto per ben due volte L’ombra del giorno di Giuseppe Piccioni, opera sceneggiata anche da Annick, uno dei migliori film della stagione cinematografica, poco apprezzata da una critica ottusa, dove i temi cari alla scrittrice pisana ci sono tutti, a partire dalla persecuzione degli ebrei, per finire con le leggi razziali e la dittatura fascista, senza trascurare una storia d’amore non proprio a lieto fine. Il lupo di Skopje comincia con un incontro imprevisto e drammatico tra la protagonista (che vive un rapporto conflittuale con il compagno) e un ragazzo che tenta il suicidio, un incontro che cambia la vita della donna e fa crescere una sintonia strana, un rapporto che pare materno, ma forse è qualcosa di diverso, con il giovane portato in salvo. Il romanzo approfondisce la storia del ragazzo, che viene dalla Macedonia, da una tragica giovinezza fatta di abbandoni e di perdite dolorose. Annick Emdin scrive storie dolorose e inquietanti, racconti disperati che trasudano vita, narra in modo serrato, usando il dialogo da consumata (nonostante la giovane età!) sceneggiatrice di cinema e teatro, nel modo più appropriato, funzionale allo scorrere del racconto. Ritmo e letteratura, frasi metaforiche come passarono alcune settimane come petrolio sull’acqua, alternate a esplosioni di violenza, incomprensioni, dissolvenze sentimentali e drammatiche. Un romanzo da leggere. Una scrittrice da conoscere.
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