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Graziella Tonfoni: Storie di ordinaria lettura

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Un semplice saggio non necessariamente è un saggio semplice. Risponde a viva voce, l’autrice, affermando che non ci sono figure, neppure immagini, nemmeno fotografie, che possano sostituire il potere evocativo di certe frasi, paragrafi, capitoli. Non si può indebolire il fascino discreto dei titoli, degli indici, delle appendici numerate, che evidenziano l’eleganza di una accurata impaginazione, sanciscono il dovere della accurata formattazione.
Ribadisce lei stessa, il diritto alla rilegatura, che lascia libere le illustrazioni, permettendo alle grafiche rappresentazioni di diventare autonome decorazioni visive, ornamenti di pareti indipendenti, in una mostra permanente, in movimento concettuale, accessibile, visitabile, su prenotazione.
Per proporre, in modo deducibile, un manuale cartaceo credibile, che narra la storia della letteratura italiana del secondo decennio del terzo millennio, passando attraverso le ricerche della stessa Tonfoni G., è indispensabile indicare, le ragioni tecniche di una periodizzazione tronca, tanto stramba quanto inusuale.
Per rispettare l’esattezza assoluta dei termini, si dovrà ripartire proprio analizzando le appendici editoriali dell’anno 2015, che condensano interi faldoni di saggezza spicciola, distesi in banconote narrative a cavallo dei due secoli, riassumendo saggi, rendendoli assegni, che contengono tratte di sapienza in una breve espressione, accademicamente a norma.

Indagando, esplorando, le caratteristiche rilevanti di questi anni fragorosi e complicati, caratterizzati dallo scarto continuo fra realtà e immaginazione, in più punti di rilevamento, apertamente si rivela come una impaginazione implosa degli indici, possa portare alla espansione emotiva, estrinsecandosi in rumore assordante di chiose, che non produce sereno dialogo, ma scatena invettive in dilagante fretta e furia globale.

Ne derivano traiettorie a voce alta, con interpunzione surreale. Una retorica ad effetto, che racchiude fra parentesi graffe e quadre la caratteristica principale di questa epoca tormentata, unico richiamo assonante, fantasioso, magico trafiletto, rappresenta a tutto tondo, il giornalismo scientifico ai tempi della collera.
Segue una dichiarazione, secondo cui se un divulgatore serio è davvero appassionato alla scienza autentica attenderà decenni, perfino mezzo secolo, con attempata pazienza, fino a quando la possa davvero compendiare, pubblicamente proclamare vera, una teoria, tanto a lungo trascurata, se provata essere valida.

La collera, intesa come effetto collaterale ambientale di una eccessiva pratica dei “social network” si materializza come vera e propria colla mediatica, sostanza amalgamante, che si spalma nel lessico, che permea i vocabolari, che aizza i dizionari, ungendo le scelte stilistiche, rendendo le frasi scivolose.
Arduo diventa il compito di chi debba separare le affermazioni accertate, distanziandole dalle ipotetiche e iperboliche estremizzazioni, in una fantasmagorica altalena, di sensi ambigui, che volteggiano sulla pagina unica, resa giostra, dai significati contorti.
Come autrice e scienziata -dichiara Graziella Tonfoni- scrivo romanzi e racconti, evidenziando l’impatto critico sulla narrativa attuale, misurando le conseguenze, sui lettori costipati, della pratica costante di “twitter”, meccanismo di automatica emissione di poetiche diramazioni. Sentieri di dittici incrociati provocano ingorghi periferici. Ne deriva una sovraesposizione che, mediante fili di sovraeccitata critica, rende possibile uno studio filologico comparato, sensibile alle varianti retoriche, nelle diverse letterature, un tempo contrastive, ora rese linguisticamente omologhe: equidistanti espressioni, parafrasi ingabbiate, nella rete unica.
Ne consegue una precisa constatazione: solo a partire dagli albori del 2016 in poi, se su pagine ritenute di racconto effettivamente stabile, non in continuo divenire di sinonimi, alla ricerca dei rispettivi contrari, risulta possibile misurare esattamente le conseguenze sull’immaginario collettivo, dei lettori, subissati da tanto globale collera di sottotitoli, furia di parole chiave, fretta di sommari e di indici, che fluttuano, secondo la duplice natura della informazione, sia nella forma digitale scritta, che nella dimensione cablata orale. Si verifica un vero e proprio scarto epocale.
Personalmente, non mi getto nella mischia, dei contusi contendenti, commento linearmente la mia narrativa, che intende essere portatrice di corretta periodizzazione, aggiungendo osservazioni in chiosa, dirette a fare annotare le problematicità evidenti dell’oggi, presentandone a fianco alcune possibili traduzioni.
I tempi attuali richiedono una svolta tecnica, molte manovre di lavorio filologico, che permettano la valutazione dei valori compressi, il conteggio dei cedimenti filologici contrapposti, che maturano cedole critiche, in uno scenario euro-didattico, dilatatosi al punto, da non concedere liquidità sommerse nelle fasi lessicali, in alternanza di frasi provvisorie.
Alacremente elaboro un tabulato di paragrafi, che contiene il tasso di leggibilità, presunto e reale, aggettivo per aggettivo, mi proietto e piroetto in una epoca nuova. Come autrice a norma di legge italiana, dichiaro di essere definibile e nominata a tutti gli effetti “ scrittrice nell’ era dell’economia ristretta” , in una epoca delineata dai periodici, ormai sporadici, che escono in prolisso affanno, affidati alle residue biblioteche di una assai ridotta comunità italiana, resasi virale e virtuale.
Se esistono qua e là, resistendo a tanti condizionamenti filosofici, mediando fra processi di analisi contrastiva, ancora alcune ansiose anse, di curatela autoctona, incrementate, incentivate, con risultati pratici da detrarre, si rileva, parallelamente, che una ri-distribuzione editoriale di proposte scartate, per il rilancio storicizzato dell’oggi, richiede di essere parametrizzata, parola per parola, accento per virgola, minuziosamente secondo un apparato critico, che fa capo al quotidiano lirico.
Come rappresento in questa epica tratta, inizializzata all’anno 2017, che prosegue oltre. Siamo attualmente entrati nell’epoca ridotta, dell’ economia italiana più ristretta, costrittiva, costretta, della storia degli ultimi decenni.
Sfiorando la recensione, sono ricercatrice che rilancia il fenomeno della correzione autorevole, come percorso di rilevamento di un “pre-testo” ove il refuso, non era ancora presente. Valorizzando il ruolo dell’errore come rivelatore di nuove necessarie scritture, di chiarimento ecdotico, per una fascicolata riedizione, che rileva l’indotto editoriale.
Se è necessario rettificare, allora sia ogni manovra sulle pagine, dedicata ad alzare, non a svilire, il valore potenziale di ogni spazio lasciato vuoto, in mancanza di subordinata o coordinata spiegazione, cancellatasi meccanicamente. La nuova direzione, intrapresa dalla scrittrice, che investe ampie quote di tempo, sulle proprie rimaneggiate rime e prose, va verso la delineazione di un modello di conservazione dei beni filologici, che tenga conto delle difficoltà proprie dell’epoca dell’affastellamento di termini tecnici, in successiva accumulazione.
Conclude che saranno necessari almeno cento anni di lettura in solitudine, alle future generazioni di accademici, per meglio potere comprendere, quanto oggi dovrebbe rilegarsi con piacevole formattazione.
Presenta tutti insieme tanti titoli potenziali, senza avere pretesa di scegliere immediatamente dal portafoglio delle definizioni plausibili. Opta, finalmente, a seguito di una catena di “così non si può pubblicare” per raggiungere, come capienza ideale vuole, una versione definitiva, estrapolata dalle recenti proposte, scegliendo una complessiva titolazione, che rimpiazza una provvisoria sigla instabile, con una concisa affermazione.
Diventa motto perentorio quel suo affermare l’urgenza di “una conservazione filologica storicizzata” nell’era dell’economia, dichiarata provvisoria, sulla base delle perenne disfatta, a fianco di eventuale disdetta, nel senno del poi.
Per completezza di forma, fa seguire il testo letterale di un progetto letterario tanto virtuale, da essere stato dismesso, prima ancora di risultare comprensibile, riportandone le sfumature di tono, procedendo ad alta voce, con pronuncia maestosa, sempre a norma di sospese virgolette. Si rilevano effettivamente presenti tracce di realismo magico, traiettorie fantasmagoriche, fra i cunei dismessi delle infrangibili metafore, in cornici allegoriche.
In concomitanza dell’ infinita puntualizzazione, rende nota una proposta di curatela, diluita nei mesi, che ritiene opportuno aggiungere, letteralmente inserendola, qui a seguito, incastonata fra discrete sottolineature, invisibili appunti.
“Esiste attualmente un archivio privato, situato nel centro storico, a Bologna, che potrebbe confermarsi nella sua attuale, adeguata collocazione. Seppur varie siano state le proposte di trasferirne il senso, di trasportarne il significato, in sedi europee, che hanno dimostrato un preciso interesse, l’ autrice e proprietaria ritiene giusto proporne una sintetica rappresentazione, proprio nella sua città natale, sapendo bene che potrà essere utile riprenderne il consenso, soprattutto quando lei non sia più ricercatrice in vita. Il patrimonio di pubblicazioni, di lezioni, di manoscritti, si è progressivamente espanso, successivamente articolato, nelle varie fasi distinte, su temi e problemi diversi, distribuendosi, rendendosi noto in più centri di conservazione, archeologicamente distinguendosi, distanziandosi nettamente dalla figura della irrefrenabile prosatrice, come era giusto accadesse. Tuttora nelle sue computazionali propaggini, si propaga in aule fitte, per alimentare intere classi sociali.
Da segnalare sono i volumi, di cui i più antichi, già dai primissimi anni ottanta, seppur ristampati, introdotti, riproposti, risultano ormai fuori catalogo. Non per questo, sembrino meno significativi: preziose testimonianze uniche, rimembranze dell’epoca straordinariamente lontana, che intendono ben illustrare, narrandola, da vicino. Tale archivio contiene un materiale composito, diversificato, stratificato, complesso, sedimentato, distinto per varietà di documenti, di oggetti di ricerca, di funzionalità di apprendimento, di reperti di didattica, tale, da non potere rientrare in modo unitario, neppure in soluzione unica, nel profilo di nessuna delle sedi, che già ospitavano ed ospitano molteplici derivati, in emulsionati di ricerca, filtrati secondo schemi selettivi. Essenziale a comprenderne la rilevanza storica, è che resti nello stesso luogo, tale insieme interconnesso, di interdisciplinari opere, che si snodano in filiere poetiche, riflettendosi in molteplici quadri di significato. Sono stanze ritmate, che paiono rime impetuose, per alcuni passaggi altamente analogici, in linea con le modalità espressive di Dante Alighieri, la cui lettura assidua ha evidentemente influenzato la scienziata nelle sue esplicitazioni narrative, glosse tanto complicate paiono, da rendere necessari interi apparati critici. In dialettica costante di esplicativa movimentazione transdisciplinare. Se si riproducesse per intero tale ambiente, ove l’autrice attualmente opera, rendendolo spazio di consultazione, destinato ad attraversare i secoli, dato che contiene, rappresenta un periodo particolarmente delicato nel settore delle scienze linguistiche, cognitive, computazionali, dalla fine degli anni settanta del secolo scorso, con testimonianze uniche, certificazioni delle originarie intuizioni della studiosa, nelle sue più avanzate innovazioni, con pubblicazioni sempre troppo avanti sui tempi di effettiva comprensione, poi risultate valide nel lungo termine, se lo si lasciasse così come è ora, non sarebbe questa la unica soluzione plausibile. Resta comunque indicazione ragionata e ragionevole.
Lo si potrà semplicemente, tale archivio, fra le pareti stesse incastonare. Accessibile agli studiosi soprattutto del futuro, in modo coerente e corretto, da organizzare preventivamente. Esistono prove poetiche, ove l’autrice giocosa, si permette di fare un rammendato, grazioso verso, in carnevalesco ammiccamento, ad alcune estreme tendenze della retorica accademica. La tipologia documentale di tanto materiale sarebbe praticabile da storici e studiosi, non scontrosi, se provenienti da varie discipline, resa statuaria documentazione, data la monumentalità intrinseca del conglomerato di ricerche e di scritture. Si tratta di prosa plastificabile agli atti, ovvero da mostrare, da visionare come impacchettata serie di reperti, talmente complicati, da non essere decifrabili all’oggi, se non in presenza di squadre di esperti semanticamente ben equipaggiati. Ai tempi di originaria composizione, intercalata da allusioni culturali, esisteva, sempre, per l’originale un referente, tecnico, che li decodificava correttamente, tali messaggi, serbando intatto il contenuto, di immaginifiche composizioni scientifiche, poetiche, metaforicamente didattiche, ricevendole in prosa, quotidianamente. Filari allineabili, in forma di vastissimi epistolari analogici, allegorici, si snodano in tratte di dischetti, faldoni, che contengono migliaia di versi in prosa, paragrafi narrativi, intercalati da percorsi esplicativi, inframmezzati da intervalli poetici, scalinate didascaliche, percorse su e giù per anni, da personalizzati referenti, indaffarati a comprenderne le sottigliezze, con calzanti paragoni, in parole diffuse, soffuse, digitate in infradito. La riservatezza è doverosa, soprattutto se riguarda il materiale non consultabile, perché costituito da eserciziari di allievi illustri, di allieve, attive durante il loro percorso di formazione, di cui non sarebbe lecito fare conoscere quaderni o registri, prove tecniche, che spesso contengono errori e successive correzioni. Il trattamento delle tipologie di materiali dell’archivio, approvato come spazio ecdotico a norma, necessita la delineazione atipica di un modello di conservazione diverso, distinto perfino dai concetti di “ambiente didattico” e di “casa letteraria”, secondo le disposizioni vigenti in materia di lezioni in aula. L’ autrice ritiene che tale complesso di conoscenze stratificatesi, nella mole ingente delle pagine reali e virtuali, possa meglio essere rappresentabile in forma di unica “installazione bibliografica permanente”, che permetta la visualizzazione dell’insieme, che consenta la minuziosa e minuta consultazione delle pagine, per le sole parti pubblicate, agevolando la lettura dei volumi più significativi, che sono comunque in copie rare, esemplari da preservare in teche allineate, ridondanti. Le parti plastificate, indicano semplicemente il “tanto di più interpretativo” che nessuno studioso o storico in futuro, potrebbe esaurire da solo, in un rebus matematico infinito, che si protrarrebbe in una intera vita di ricerca, se in assenza di una autrice, tanto complicata, da essere lei sola, unica depositaria di una scienza ormai passata. Scienziata unica in grado di decodificare il senso di ogni allusione immaginifica, nei proteiformi contesti di ricezione, ora avulsi, dissipati, resi tasselli di un mosaico astruso, impossibile da comprendere, per chi non ne sia stato un tempo, il diretto ricevente.”
Sono davvero un’ autrice ridondante, rimbalzo fra paragrafi, salto, fra i miei titoli, come una equilibrata equilibrista. Ho concepito e realizzato un modello di archiviazione di matrice artistica, che distingua nettamente le sezioni pubbliche, le pagine consultabili, dal materiale del tutto incomprensibile, se in assenza del mio diretto intervento, di accurata redattrice delle mie stesse opere- così conclude, la ricercatrice.
La peculiarità estrema, la unicità del conglomerato documentale, la preziosità, la delicatezza dei materiali, richiedono che ci sia, non solo un unico spazio fisico appositamente predisposto, ma che si preveda un trattamento diversificato, di tanto singolari repertori. Nell’era dell’eccesso di dati, nella fluidità di informazioni convolute e sconvolte, possa restare questo prototipo di archivio realizzabile, in una condizione filologicamente stabile, modello didattico esemplare, letterario momentaneo commiato di una transeunte affabulatrice, che si è resa filologa autentica, saggia critica delle sue stesse chiose.

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